A due giorni dalle primarie del Partito Democratico abbiamo chiesto a Piero Sansonetti, ex direttore del quotidiano del Partito di Rifondazione Comunista, Liberazione, (oggi direttore-fondatore de Gli Altri) il suo parere sul partito che si candida a guidare il centrosinistra e a costruire un’alternativa di governo.



Dai suoi editoriali emerge un’analisi del quadro politico lucida, impietosa e sicuramente poco condivisa a sinistra. Secondo lei lo scontro tra Pdl e Pd non sarebbe altro che una lotta interna alla borghesia: da un lato Berlusconi con le sue televisioni, dall’altro De Benedetti, i giornali, le trasmissioni di Santoro e Travaglio e addirittura la magistratura. C’è qualche errore in questa sintesi?



No, il ragionamento è più o meno questo. Penso che il Pd abbia perso la guida di se stesso e per via della sua debolezza abbia accettato di essere guidato “da fuori”. Le ragioni di questa debolezza politica sono molteplici e derivano principalmente dal modo un po’ bislacco in cui è nato.
L’attuale gruppo dirigente del Pd è subalterno a un pezzo della grande borghesia italiana, quella di De Benedetti e della vecchia borghesia torinese, raccolta intorno alla Fiat.
Lo scontro politico a cui assistiamo quindi non è altro che la battaglia tra due ali della borghesia che hanno interessi contrapposti e si contendono la leadership del Paese.
Questo spiazza l’asse della lotta politica, che infatti non esiste più. L’unico simulacro di questa lotta è lo scontro tra il populismo berlusconiano e il populismo di sinistra. Che, tra l’altro, non è per niente interessante.



Ammetterà che non sono molti a sinistra a dire che anche la magistratura partecipa a questa lotta di potere?

Guardi, in questo scontro tra i due tronconi della classe dirigente italiana ognuno ha il suo  potere: la “borghesia di centrosinistra” ha dalla sua la carta stampata e parte consistente della magistratura, mentre Berlusconi ha una forza enorme nelle televisioni. Questi sono i rapporti di forza.
A me però interessano due questioni: la prima è come si concluderà questo scontro tra potenze e il ruolo della sinistra. Riuscirà a tornare protagonista e a uscire dalla subalternità? Io lo spero.
La seconda è la riorganizzazione dei poteri in Italia. Ci sono degli squilibri innegabili tra i tre poteri dello stato liberale e penso che una riforma sia necessaria.

Che tipo di riforma si augura?

Spero che non passi quella a cui pensa Berlusconi, ma la sinistra fa molto male a rispondere ai suoi attacchi con una pura difesa dell’esistente, perché l’esistente non va. Dovrebbe invece avere la forza di proporre una riforma dei rapporti tra i poteri equilibrata e democratica.

L’altra preoccupazione che ha sollevato riguarda il ruolo della sinistra. Nutre delle speranze su uno dei candidati alla segreteria del Pd o pensa che nessuno dei tre sia in grado di far uscire la sinistra dalla sua crisi?

Se Franceschini si aggiudica le primarie vince il “veltronismo”, quel progetto che vuole spostare la sinistra italiana al centro, in posizione di subalternità a quel pezzo di borghesia di cui parlavo prima. Se ciò accade la ricostruzione della sinistra sarà una questione da porre al di fuori del Pd.
Io ho molte speranze in Bersani. Non ho a cuore alcune formazioni piuttosto che altre, voglio che la sinistra torni a fare il suo lavoro e la speranza più grande è riposta nel Pd, che è il partito più importante. Per questo non mi preme che prenda alcune posizioni su temi particolari, ma che il Pd torni ad assumere come punto fondamentale del suo lavoro l’obiettivo della trasformazione. Altrimenti il dibattito rimarrà sempre nell’altro campo: Tremonti e Brunetta che discutono di flessibilità e posto fisso, il tutto dentro la destra. Queste sono le sconfitte devastanti della sinistra.

Seguendo il suo ragionamento iniziale è lo scontro tra populismi a impoverire la lotta politica. Per questo motivo il dibattito politico si riduce a una “questione morale” ormai appiattita sull’antiberlusconismo?

 

 

Da militante del Pc di Berlinguer per me la “questione morale” è fondamentalmente la denuncia della politica quando rinuncia ai suoi contenuti fondamentali e diventa semplicemente un luogo di amministrazione del potere. In quel caso nasce comunque una “questione morale”, che non è necessariamente legale, non riguarda i reati, ma il ruolo della politica.
Oggi la “questione morale” è enorme perché la politica ha del tutto rinunciato ai suoi compiti. Ed è ancora più grave per la sinistra.

Perché?

Per la destra la questione morale è molto più una questione giuridica: se non rubi e mantieni lo status quo hai svolto il tuo compito. Per i conservatori la trasformazione non è la stella polare. Se invece la sinistra rinuncia alla trasformazione rinuncia a tutto.

Lo scontro tra populismi e il clima avvelenato che si respira può riportarci agli anni bui del terrorismo, come ha sostenuto ad esempio Pansa?

Non credo a questa ipotesi. Allora c’era uno scontro fortissimo: da una parte un’Italia che voleva la rivoluzione e l’altra Italia che era terrorizzata dall’idea che ci si avviasse verso ipotesi socialiste.
C’era in gioco il futuro del Paese, c’erano due modelli opposti di società e si arrivò fino a sparare.
Adesso non ci sono due modelli. Chiedete a Travaglio e Feltri che idea di Paese hanno in mente e vedrete che non sono molto diverse.
Il clima avvelenato di oggi è il frutto di un bipolarismo concepito male, ma, ripeto, la divisione non è sui contenuti.

Dalla sua analisi emerge un quadro politico decisamente negativo. Qual è invece secondo lei lo stato di salute del giornalismo?

Il giornalismo attraversa un pessimo momento, è diventato uno strumento di quella lotta politica all’interno delle classi dirigenti di cui abbiamo parlato. Il paradosso è che c’è un’enorme libertà di stampa, ma manca il giornalismo.

Eppure in molti parlano di “regime”, soprattutto a sinistra. La libertà di stampa in Italia è in pericolo o no?

 

 

 

Dire che c’è un regime in Italia è una evidente idiozia che serve a chi non ha voglia di fare un’analisi profonda della crisi del nostro Paese. Detto questo, come è ovvio sono convinto che le riforme che ha in mente Berlusconi siano deleterie, ma attualmente non vedo una sinistra capace di riforme positive.
La crisi del giornalismo invece merita di essere approfondita.

Si è fatto un’idea di quali potrebbero essere le cause di questa crisi?

Difficile dirlo, in parte dipende dal mercato e dal precariato, ma questo non spiega come mai da vent’anni non cresce una nuova generazione di giornalisti.
Si sono sempre alternate in questo Paese generazioni di giornalisti in competizione fra loro. Quando ero ragazzo io, lavoravo all’Unità e la mia generazione faceva la guerra a quella dei partigiani.
Vincemmo quello scontro e iniziammo a dirigere noi il giornale. Purtroppo quando non c’è rinnovamento ci si avvita su se stessi e si diventa strumento delle lotte di fazione.

Lei è abbastanza critico riguardo al giornalismo di alcune figure molto apprezzate a sinistra, come Scalfari, Travaglio e Santoro. Come mai?

Scalfari ha sempre avuto in mente una politica debole e un’economia forte. Da moderato di centrosinistra vuole la subalternità della sinistra ai poteri economici.
Travaglio è molto diverso, è un esponente significativo del populismo di destra, viene dal giornale di Montanelli e le sue parole chiave sono “legge ed ordine”.
Santoro è arrivato alle stesse conclusioni, partendo però da sinistra. Questo non mi stupisce più perché una parte consistente dell’opinione pubblica di sinistra si è spostata su queste posizioni populiste di destra, che senza polemica, definirei reazionarie.

Se questo è lo stato in cui versa la politica e il giornalismo, quali sono secondo lei i punti da cui ripartire e da cui ricostruire?

Secondo me il giornalismo rinasce se si rimette in moto la politica e la politica si rimette in moto se la sinistra torna a fare la sinistra.

(Carlo Melato)