Sarà interessante leggere le argomentate e acrobatiche confutazioni, da diverse parti politiche, al libro appena uscito in libreria di Ugo Finetti “Storia di Craxi” (Boroli Editore), con un sottotitolo molto calzante “Miti e realtà della sinistra italiana”. A dieci anni ormai dalla morte del leader socialista, ci sono ancora diverse elucubrazioni e contorsioni di cronaca sulla figura di Bettino Craxi nella sinistra italiana ed europea, con qualche ammissione di autocritica che filtra tra le righe dei libri-outing di alcuni dirigenti dell’attuale Partito democratico, che furono, ancora per diversi mesi dopo la Caduta del Muro di Berlino, leader comunisti, “ragazzi di Berlinguer” e “nipotini di Togliatti” e loro esegeti e “apostoli” storico-politici.



Diciamo subito che, a nostro parere, sarà problematico confutare Ugo Finetti, che è ormai un grande storico, implacabile nella ricostruzione dello scenario storico-politico dell’Italia repubblicana soprattutto nel mondo della sinistra. Finetti ha una profonda cultura umanistica, ha un’antica passione politica e un’esperienza sul “campo” che gli auto-impongono l’esattezza delle date, la precisione della documentazione e delle citazioni (scritte) degli altri, la ragionevolezza delle interpretazioni nelle grandi manovre politiche.



Che cosa ci riserva questa volta Ugo Finetti, dopo i suoi due splendidi libri su “La Resistenza cancellata” e il “Togliatti&Amendola: la lotta politica nel Pci” ? Ci regala una storia che in Italia si ha paura di affrontare: quella della sinistra anticomunista e democratica, di cui Craxi, nel dopoguerra italiano, fu l’interprete principale. Fu il vero precursore di tutti i riformismi, quelli vissuti realmente e non solo dichiarati a parole.

Nel suo libro Finetti parte da lontano. Parte dal giovane Bettino Craxi che è un dirigente politico nelle battaglie studentesche, nell’Ugi e nell’Unuri, e che già conosce, per l’esperienza di alcuni viaggi all’Est, la “crisi di sistema”, non “una crisi nel sistema” dello stalinismo, del leninismo, del comunismo o “socialismo reale”. Si vede così che la storia di Craxi è quella di un giovane dell’inizio degli anni Sessanta che è sempre cresciuto in minoranza, nel Psi e nella sinistra italiana, per difendere la “via maestra” indicata da Filippo Turati, il riformismo (termine che fino agli anni Ottanta era un insulto all’interno della sinistra, anche per il socialista Riccardo Lombardi), il liberal-socialismo di Carlo Rosselli, la grande storia scritta dalla socialdemocrazia europea.



 

 

A ben vedere è questo “dna” riformista che provocherà la “demonizzazione”, lunga quasi mezzo secolo nei confronti di Bettino Craxi. La demonizzazione è una scorciatoia leninista per evitare i problemi reali. Quindi, nella grande manipolazione comunista, il riformista è sempre stato accostato al corrotto e al tangentaro.

Da chi è promossa questa demonizzazione? In primo luogo ovviamnete dai “concorrenti” di sinistra, Pci in testa, ma anche frange socialiste “lunari”. A questi si aggiungeranno, nel corso degli anni, anche diversi “compagni di strada” del Pci, che verranno da sponde cattoliche, democristiane e addirittura dagli ambienti finanziari e industriali, che avevano un timore fottuto, per esempio durante la “Biennale del dissenso” del 1977, di irritare l’Unione Sovietica che garantiva tanti “buoni affari”: dalle automobili agli impermeabili per i soldati sovietici, alle macchine da scrivere per la Tass e le Isvetia.

Craxi fu costretto a vivere in minoranza, in un Paese dove in genere “si cambia tutto per non cambiare nulla”, perché intorno a lui, riformista che voleva le veramente riforme e le propose nel limite del possibile c’era il “muro di gomma trasversale” dell’immobilismo e della conservazione.

Questa conservazione riguarda in primo luogo ancora il Pci e la sua “galassia” variegata di sinistra. Quando, nei primi anni Sessanta, si formano i primi governi, locali e nazionali di centrosinistra, c’è un grande processo di revisione nella sinistra italiana. Nello stesso Pci, morto Palmiro Togliatti e consumate le prime revisioni dopo l’Ungheria, il ventesimo e ventiduesimo Congresso del Pci, il clima è mutato e Giorgio Amendola parla di “partito unico dei lavoratori”, di “superamento del leninismo”. Nel Psi ci si avvia alla riunificazione con la socialdemocrazia di Giuseppe Saragat. Ma basterà un Sessantotto (fenomeno mondiale ma che in Italia dura un ventennio) a rimettere in discussione tutto, a far retrocedere le lancette della storia e a consentire, nel nome del “giovanilismo ribellista” la rivincita dei “nonni del 1948, con tutta la loro chincaglieria di anti-capitalismo. anti-americanismo, terzomondismo, democrazia “sostanziale” in opposizione a quella “formale”, fino alla riscoperta dello stalinismo e allo “sbarco liberatorio” nel pianeta maoismo, che sarà solo l’ultimo tuffo prima di risalire in un privatismo infantile. Un delirio ideologico che stopperà di fatto l’evoluzione della politica italiana, che la metterà di nuovo in ritardo rispetto alle democrazie europee.

 

 

 

Sarà un altro periodo di lunga minoranza per Craxi. Solo nel 1976, dopo il Comitato centrale del Psi di luglio all’Hotel Midas di Roma, Craxi può riprenedre la sua “corsa” giovanile. È da questa data che parte l’avventura del Craxi più conosciuto al grande pubblico. È il Craxi della “grande riforma”, della battaglia contro “la scala mobile”, di Sigonella e degli euromissili, cioè di un leader leale con gli alleati americani ma non subalterno. È il Craxi che appoggia “Solidarnosc” in Polonia e offre solidarietà a dissidenti del blocco comunista, così come ai democratici sudamericani in lotta contro le dittature golpiste. È il Craxi che attacca la politica dell’Urss e del Pci, pur lasciando sempre vie di trattativa per un’evoluzione futura politica sia a livello mondiale che a livello italiano.

È precisissimo Finetti nel ricostruire il clima che si forma nel Paese di fronte al governo Craxi. Sia da parte di chi ne condivide l’azione di riforma, sia da parte di chi si oppone in una delle alleanze più stravaganti del mondo. La fine che viene riservata a Bettino Craxi è guidata da una ammucchiata confusa e impaurita verso i cambiamenti profondi di cui il Paese ha bisogno. Craxi cadrà.

Ma la sua testimonianza umana e politica, alla fine, non sarà affatto inutile. Scrive Finetti: “L’anticraxismo ha disegnato una sinistra italiana tutta “Resistenza rossa-Sessantotto-Mani Pulite: un’epurazione che colleziona sconfitte”. Il comunismo è “sepolto”.Il vecchio capitalismo italiano è stato rimpiazzato dal “quarto capitalismo”, dall’impresa medio grande che tiene bene sul mercato globale, quel “Made in Italy” che Craxi valorizzò.

Ci vorrà del tempo, ma alla fine Craxi tornerà a essere collocato nel posto giusto della storia italiana e Ugo Finetti verrà finalmente studiato come si conviene.