Il governo punta con decisione a una riforma della giustizia in tempi brevi, con o senza la collaborazione dell’opposizione, oggi abbastanza improbabile. Il premier sembra però più impegnato a fronteggiare l’opposizione interna di Gianfranco Fini. Nell’ultimo incontro, infatti, il Presidente della Camera non ha concesso sconti. Marcello Veneziani analizza il momento politico che sta vivendo la maggioranza.



L’incontro tra Berlusconi e Fini, nonostante la parziale soddisfazione del premier, è un passo avanti verso la riforma della giustizia?

Si è trattato di un compromesso. Berlusconi non ha avuto da Fini una totale rassicurazione e non ha ottenuto tutto ciò che voleva. È un passo avanti, ma rimane l’imponderabilità che passa tra un accordo di massima e la realtà dei numeri in Parlamento. A volte basta una dichiarazione per rendere aleatorio un impegno.



Nella posizione prudente di Fini contro la “prescrizione breve” lei ha visto buon senso o mancanza di lealtà verso il premier in un momento delicato?

Fini ha soltanto un interesse politico ed è quello personale. Se a lui fa comodo evitare che il governo cada si impegna in questo senso, lascerei da parte i discorsi sulla lealtà. Non mi riferisco solo a Fini, perché in fondo la lealtà non entra nelle categorie della politica, soprattutto contemporanea. Se Berlusconi rimane al governo, ma vede sempre più indebolita la sua leadership, l’ex leader di An ne ha un’utilità strategica. Questo giustifica le sue limitate aperture alle richieste di Berlusconi.



Se Fini punta al logoramento del premier è giusto invece aspettarsi da parte di Berlusconi dei colpi a sorpresa, come il ricorso alle elezioni anticipate?

Fini non ha grandi strategie, ma una tattica che modifica giorno dopo giorno. Berlusconi invece ha nel suo repertorio dei colpi d’ala, o di testa se preferiamo, con cui scompagina le carte, rivoluzionando il quadro politico. In lui irrompono valutazioni che non sono proprie dei tempi della politica. Il ricorso alle elezioni è uno spettro che può agitare, anche se non penso che sia percorribile fintanto che non saranno scongiurati i pericoli di carattere giudiziario.

Il riavvicinamento con l’Udc potrebbe servire al premier per ridimensionare Fini?

 

 

Sicuramente. È un’operazione secondo me già avviata con due scopi: da un lato l’accordo politico con il partito di Casini può portare dei vantaggi concreti, dall’altro è un avvertimento agli alleati. C’è da dire che Casini al momento ha comunque l’interesse a non schierarsi né con Bersani né con Berlusconi. Può ancora lucrare sulla sua posizione arbitrale che gli sta garantendo consenso elettorale, agibilità politica e un’esposizione mediatica molto positiva.

Sia le elezioni anticipate che l’alleanza con Casini sono ipotesi che servono più che altro a minacciare gli alleati quindi?

Sì, anche se con Casini probabilmente un accordo di massima c’è già. L’apertura dell’Udc sul tema della giustizia è utile a Berlusconi e forse non è stata politicamente gratuita.

L’eventuale ritorno di Casini aiuterebbe la maggioranza o potrebbe far saltare i delicati equilibri interni al centrodestra?

Sicuramente Berlusconi dovrà valutare vantaggi e svantaggi. Il ritorno di Casini indebolirebbe Fini e creerebbe un contrappeso alla Lega, oggi molto forte. Un’ipotesi di questo tipo vedrebbe aumentare sicuramente l’instabilità e le frizioni, ma è anche vero che aumenterebbe il numero dei parlamentari. A quel punto ogni fronda si potrebbe contenere più facilmente.

Solo poco tempo fa sembrava Tremonti l’uomo del doppio gioco. Tutto risolto?

Tremonti è una delle personalità in crescita nel centrodestra, si vedrà in futuro dove può arrivare. Sicuramente continua a giocare la sua partita e ha più carte in mano rispetto a prima, anche grazie agli errori di Fini. Se prima era solo il punto di raccordo tra la Lega e Berlusconi adesso raccoglie consensi e interesse anche nella destra sociale e tra i delusi da Fini.

Gianfranco Fini ha presentato da poco il suo libro “Il futuro della libertà”. Bondi ha sottolineato due strane lacune: la sua provenienza (l’Msi) e Silvio Berlusconi. Lei come l’ha trovato?

 

 

 

Da un libro dedicato al futuro non mi aspetto certo la storia del vecchio Movimento Sociale Italiano. Il vero problema di questo libro è un altro. L’autore deve aver coltivato alcune letture in una vita segreta…

Cosa intende?

Chi scrive non è né il Fini fascista, né il Fini di Alleanza Nazionale, né quello alleato a Berlusconi, è un intellettuale, un filosofo. Sarebbe l’ennesima svolta. Penso invece che la “regia” del libro sia di Paolo Mieli con la “sceneggiatura” di Aldo di Lello, bravo giornalista di buone letture. Mi ricorda il saggio di Craxi su Pierre Joseph Proudhon, “ispirato” da Luciano Pellicani. Questa volta però di Fini non c’è traccia.

Presentando questo libro da Fazio, Fini ha parlato di “Pdl caserma”. Cosa ne pensa?

Il Pdl è nato come un partito a vocazione monarchica. Non ci sono dubbi, su questo Fini ha ragione. Bisognerebbe però ricordare a Fini che la monarchia ha permesso al Pdl di vincere e che quando lui governava An (quella sì una caserma senza possibilità di dibattito) il monarca era lui. Il paradosso politico è che uno che viene da un partito decisionista scopra il ruolo del Parlamento solo quando arriva a fare il Presidente della Camera, proprio adesso che D’Alema rilancia il presidenzialismo.

I partiti sono ormai orientati verso questo tipo di modello?

Secondo me sì, il partito personale è in atto. Il Pd vorrebbe esserlo, ma non ci riesce perché è composto a sua volta da due partiti non riducibili. Non ci sono personalità in grado di imporsi, quindi sono obbligati a un assetto feudale. Ogni signore ha la sua corrente e il suo territorio. Non so quale sia il modello più evoluto.

È d’accordo con chi ritiene vicina la fine del bipolarismo?

Il bipolarismo finirà quando Berlusconi uscirà di scena, è lui l’unico vero garante del bipolarismo, perchè ha creato due coalizioni: una con lui e una contro di lui. Dopo la sua uscita prevedo un ritorno alla frammentazione polimorfica, non ci saranno solo due poli, ma molti di più. Le stesse speranze dei profughi del Pd (Rutelli, Calearo…) sono legate alla fine dell’era Berlusconi. Allo stato attuale creano qualche problemino a Bersani, che in realtà giocherà a fare da baricentro tra i suoi due prossimi alleati: i giacobini di Di Pietro e i moderati simil-democristiani di Rutelli.

(Carlo Melato)