Da giorni il “processo breve” è l’argomento principale dell’agenda politica italiana e rappresenta un aspetto di una riforma della giustizia più ampia e complessa, di cui però non si conoscono ancora i contenuti.
Se da un lato la strada del processo breve sembra destinata a subire numerose correzioni, dall’altro torna attuale l’ipotesi di un nuovo lodo Alfano, secondo le indicazioni della Consulta.
Emanuele Macaluso analizza le recenti vicende politiche e le difficoltà che questo travagliato cammino di riforma sembra destinato a incontrare.
Cosa pensa delle proposte del governo? Secondo lei la riforma della giustizia è necessaria?
Penso che la riforma della giustizia del nostro Paese sia necessaria. Innanzitutto perché la durata dei processi, sia civili che penali, è ormai fuori da ogni logica di giustizia e da ogni riferimento europeo. Serve una riforma che predisponga maggiori mezzi, che ristrutturi tutto l’apparato e ripensi al ruolo dei magistrati. Non sono mai stato contrario alla separazione delle carriere, purchè non ci siano ingerenze governative. Detto questo però, il problema è un altro.
Quale?
Se Berlusconi agita queste riforme proprio nel momento in cui ci sono dei procedimenti che lo riguardano è inevitabile che le sue proposte suonino come una ritorsione nei confronti della magistratura. Questo mette in allarme anche persone come me, propense a una riforma, ma ovviamente contrarie alle leggi ad personam.
Quindi pur condividendo le sue proposte a livello generale non ritiene Berlusconi un interlocutore credibile?
Per intenderci, se mi si propone una riforma che porti il processo a 6 anni posso essere d’accordo, anzi, mi sembrano anche troppi. Certo che se si formula questa proposta quando il proprio processo è ormai al quinto anno le cose cambiano radicalmente.
Secondo lei Berlusconi sbaglia quando parla di accanimento della magistratura?
Un accanimento ci può anche essere stato. Il punto è che un imprenditore come lui, che ha operato in così tanti settori, dall’edilizia alla comunicazione, ha inevitabilmente qualche scheletro nell’armadio (evasione, conti all’estero, ecc.). Chi entra in politica accetta di esporsi e di finire nel mirino. Fosse rimasto un imprenditore avrebbe dovuto affrontare solo qualche processo.
In questo modo però anche lei conferma che la magistratura esercita un ruolo politico…
Se Berlusconi fosse rimasto un imprenditore i suoi processi non sarebbero diventati "politici". La sua discesa in campo li ha resi tali.
Lasciando per un attimo da parte il caso Berlusconi, ritiene giusta la proposta di reintrodurre l’immunità parlamentare?
Certo. Io sono tra quelli che nel ’92 non si associarono all’onda giustizialista, a quel clima terribile grazie al quale si abolì l’immunità, che era garantita dalla Costituzione. Ci fu un abuso, certo, ma abolirla fu un errore. Torniamo però al punto di partenza: se sarà Berlusconi a ripristinarla sembrerà un’operazione personalistica.
Seguendo il suo ragionamento non ci sono soluzioni a questo cortocircuito…
Berlusconi dovrebbe ammettere di essere arrivato al capolinea, oppure dovrebbe affrontare i suoi processi. Non vedo altri rimedi. Se questo non succederà la politica italiana continuerà a girare a vuoto intorno a questo problema.
A proposito di quella stagione a cui faceva riferimento, D’Alema nei giorni scorsi ha ammesso che cavalcare il giustizialismo fu un grave errore per la sinistra. È d’accordo?
Che fu un errore non c’è dubbio, io lo dissi allora, lui lo dice adesso. Quella deriva giustizialista nel tempo ha creato un’area di riferimento che va oltre l’Idv, comprende parte del Pd e alcune testate giornalistiche.
Il Pd del nuovo segretario Bersani cambierà rotta e saprà affrancarsi da Di Pietro?
L’opposizione deve trovare una sua linea. Per ora sa dire no a Berlusconi, dovrebbe iniziare al più presto a fare lo stesso con Di Pietro. Spero che Bersani ce la faccia, tra i candidati alla segreteria era l’unico che poteva avere qualche speranza di successo.
Su quali punti principalmente si auspica un cambio di rotta?
Il problema è a monte. Il Pd nasce dalla fusione di partiti che hanno idee diverse riguardo alla giustizia, al welfare, alla laicità… Manca una base comune. C’è ancora tanto da costruire.
Aveva quindi ragione Rutelli a parlare di “partito mai nato” e a sottolineare il passo indietro verso la socialdemocrazia?
Se questo passo verso la socialdemocrazia ci fosse davvero stato, sarebbe un passo avanti, non un passo indietro.