Durerà tre giorni il Summit della Fao sulla fame nel mondo, tre giorni per capire se qualche cosa sia davvero destinata a cambiare o se, invece, sarà l’ennesima occasione perduta. Il tema di fondo è sempre la “sicurezza alimentare” e cioè la garanzia di disporre di alimenti sufficienti per nutrirsi e per sopravvivere. In italiano il termine si presta ad essere frainteso, perché può indicare la garanzia della sanità del cibo, un obiettivo più che lecito, ma che non è lo stesso che muove le popolazioni che hanno fame.



A causa della crisi mondiale il numero di coloro che ne soffrono sarebbe arrivato a oltre un miliardo di persone, un essere umano su sei rischia di morire per mancanza di cibo, un dato sconcertante nel nostro mondo fortunato dove il problema è, al contrario, quello dell’eccesso. È inutile fermarsi a riflettere solo in queste occasioni sul problema della fame, ma è ancor peggio assecondare acriticamente le banalità diffuse dai grandi mezzi di comunicazione.



La crisi agricola è stata una cosa ben distinta da quella mondiale, anche se strettamente connessa. Essa è iniziata prima, con uno squilibrio fra domanda e offerta di alimenti, poi la fiammata dei prezzi ha provocato in tutto il mondo una forte ripresa dell’interesse a produrre e a investire in agricoltura. Il risultato è che nel 2008 il mondo ha raggiunto la maggior produzione di ogni tempo e le riserve, intaccate nei tre anni precedenti, si sono ricostituite toccando nuovi record. Il successivo crollo dei prezzi, collegato a quello di tutte le materie prime compreso il petrolio, e legato alla fine della speculazione ed al divampare della crisi, ha indotto gli agricoltori di tutto il mondo a investire di meno. La produzione è scesa, pur rimanendo la seconda di sempre, e gli stocks sono rimasti alti per il calo della domanda.



 

La risposta produttiva dell’agricoltura dimostra che hanno torto i soliti pessimisti: il sistema agricolo opportunamente stimolato può produrre in abbondanza per tutti, oggi e anche nella prospettiva del 2050, quando 9,2 miliardi di uomini chiederanno di mangiare di più e meglio e servirà il doppio di prodotti. Il problema non è ridurre il numero di chi potrà farlo o decidere chi dovrà rinunciare, ma è esattamente il contrario, e cioè fare in modo che la più elementare forma di giustizia e di eguaglianza umana si compia.

 

Un obiettivo possibile, purché i rendimenti produttivi salgano ovunque come sta accadendo da almeno un decennio in cui sono migliorati nei paesi in via di sviluppo, ma non in quelli sviluppati in cui hanno prevalso altre preoccupazioni. Ma il mercato è globale, come va di moda dire, se i ricchi non producono e i prezzi salgono possono sempre comperare altrove ciò che manca, anche perché sono disposti a pagare di più dei consumatori dei paesi poveri. Ecco uno dei motivi per cui sono aumentati di oltre cento milioni gli esseri umani che hanno fame.

 

Per rendere cibo, libertà e dignità a tutti occorre stimolare la produzione di alimenti ovunque, senza dimenticare che la scienza e la ricerca mettono a disposizione sempre nuove soluzioni che possono risolvere il problema della fame oggi e domani.

 

Alle grandi dichiarazioni, alle parole roboanti, alle promesse non mantenute dei Summit mondiali occorre contrapporre la pratica quotidiana della volontà di porsi nei panni dei popoli che hanno fame, di capire, di collaborare e di fare. La morale dei fallimenti dei grandi vertici sta forse tutta qui, eppure è tanto difficile da comprendere.