Suor Carol Keehan è presidente del Catholic Health Association of the United States (CHA), una delle maggiori organizzazioni cattoliche impegnate nell’assistenza sanitaria negli Stati Uniti. In questa intervista a ilsussidiario.net Carol descrive il contributo significativo delle istituzioni cattoliche all’assistenza sanitaria, specialmente riguardo ai poveri, e del loro impegno per un programma di assistenza sanitaria universale che rispetti la dignità di ogni persona.
Qual è il ruolo dei cattolici nell’assistenza sanitaria degli Stati Uniti?
Negli Usa ci sono più di 600 ospedali cattolici e più di 400 altre istituzioni sanitarie cattoliche, quali organizzazioni per l’assistenza a domicilio, centri di chirurgia, ambulatori. Ogni sei americani che ricorrono ad un ospedale, uno si rivolge a un ospedale cattolico, e questo significa che ogni giorno negli Stati Uniti migliaia di persone, di ogni razza e religione, vengono curate in uno dei nostri istituti.
E quali sono le caratteristiche di questo impegno?
L’attività degli ospedali cattolici è caratterizzata dal tentativo di privilegiare i servizi di assistenza di cui ha bisogno la comunità, rispetto a quelli che sono i maggiormente remunerativi. Spesso il solo ospedale in una comunità è quello cattolico e tutti gli ospedali cattolici sono impegnati seriamente per raggiungere i poveri, quelli che lo sono economicamente e quelli che lo sono a causa della loro vulnerabilità, come gli anziani e i disabili.
Nel sistema americano un numero crescente di persone è senza copertura sanitaria. Cosa succede quando una persona non assicurata si ammala?
Negli Stati Uniti ci sono attualmente più di 47 milioni di persone non assicurate, più altri milioni che noi chiamiamo sottoassicurate, cioè con un’assicurazione che copre solo un minimo di spese sanitarie e che lascia invece scoperto ciò di cui hanno magari un urgente bisogno, come una chemioterapia o interventi chirurgici di un certo rilievo. Quando una persona non assicurata si ammala spesso cerca di posporre la cura o tenta di curarsi da sola e alla fine, non potendo andare privatamente da un medico, si rivolge a uno dei nostri ambulatori o a un pronto soccorso.
Sembra un fatto normale. Questo ritardo come incide nel quadro complessivo dell’organizzazione sanitaria?
Ma questo spesso significa che il loro problema, se esaminato in tempo, avrebbe potuto essere curato più semplicemente e con minori complicazioni o conseguenze negative. Inoltre, se al pronto soccorso vengono date a un non assicurato ricette per medicine o esami, molte volte le medicine non vengono comprate e i test non eseguiti per questioni economiche, così la situazione continua a peggiorare, a meno che si sia posto in atto un accurato sistema di controllo. L’Istituto di Medicina stima che negli Stati Uniti vi siano ogni anno circa 18 mila casi di morte per non aver ricevuto le cure necessarie o non averle ricevute in tempo.
E cosa succede nel caso di un immigrato irregolare?
CONTINUA A LEGGERE L’INTERVISTA, CLICCA IL PULSANTE >> QUI SOTTO
Nel caso degli immigrati irregolari la situazione è ancor più problematica, perché cercare di ottenere una copertura assicurativa fa correre il rischio di essere identificati, insieme ad altri famigliari, ed essere così arrestati o espulsi. Sia per una parte dei cittadini, sia per gli immigrati illegali si tratta di un percorso difficile e degradante per arrivare ad avere anche solo un’assistenza sanitaria di base. Molti ambulatori e pronto soccorsi cercano di rispondere ai loro bisogni con la gentilezza e con la qualità dell’assistenza, tuttavia rimane difficile finanziare non solo le cure iniziali, ma anche continuare a seguire gli esami e le cure di questi pazienti.
Alcuni ospedali sono stati chiusi per mancanza di pazienti assicurati. D’altro canto, vi sono strutture for-profit che sottraggono una parte dei trattamenti meglio pagati, importanti per aiutare i bilanci degli ospedali. In che modo la riforma sanitaria può aiutare le strutture sanitarie a rimanere aperte e a disposizione di tutti coloro che ne hanno bisogno?
Nel tempo, uno dei grandi vantaggi dell’assistenza sanitaria cattolica è stato che quanto pagato da pazienti assicurati, o con mezzi personali, è stato utilizzato a favore di chi non era in grado di pagare in parte o totalmente le proprie cure. Queste risorse sono servite anche per introdurre nuove tecnologie e per programmi particolari che non si ripagano da soli, come le cure psichiatriche. Molte società for-profit forniscono solo servizi sanitari remunerativi e situano le loro strutture in zone con una bassa percentuale di non assicurati. La riforma in discussione al Congresso dovrebbe portare il numero dei non assicurati dai 47 milioni di oggi a 18 milioni tra dieci anni. Il che significa 29 milioni di persone che passeranno ad avere una qualche forma di assicurazione che, come per esempio Medicaid, è possibile copra solo una parte dei costi. Molti comunque potranno usufruire di una polizza di mercato che coprirà i costi per la salute, in particolare i lavoratori di piccole imprese che, nell’attuale mercato assicurativo, non riescono ad acquistare polizze a un prezzo ragionevole. Questi 29 milioni di nuovi assicurati consentiranno agli ospedali di fornire assistenza anche ai 18 milioni che rimarranno senza alcuna copertura assicurativa.
Cosa cambierà l’introduzione della copertura assicurativa, è necessaria l’opzione pubblica?
Per 29 milioni di nuovi assicurati la riforma comporta che potranno non solo pagarsi le cure quando ammalati, ma che sarà per loro possibile anche un’attività di prevenzione, riducendo così il rischio di malattie. I programmi previsti nel progetto di legge in discussione includono norme per impedire alle compagnie di assicurazione pratiche come l’esclusione di certe categorie di persone, o il rifiuto di coprire situazioni preesistenti. Verranno posti anche limiti alle spese dirette dei singoli e questo aiuterà i malati gravi, le cui cure continueranno a venir pagate dall’assicurazione, anche una volta raggiunto un certo ammontare di spesa.
Uno degli aspetti più controversi è quello della cosiddetta opzione pubblica. Lei che ne pensa?
CONTINUA A LEGGERE L’INTERVISTA, CLICCA IL PULSANTE >> QUI SOTTO
La pubblica opzione può avere significati differenti. Nella proposta discussa alla Camera è definita come un programma per circa sei milioni di persone non assicurate, che non possono rientrare in altri programmi, e per le quali occorrerà negoziare le condizioni di assicurazione con le compagnie. La preoccupazione è che si tratti di un altro programma Medicaid (l’assistenza sanitaria ai più poveri), noto per pagare le cure sottocosto, costringendo molti pazienti a rinunciare alle più costose visite specialistiche. Se il programma pubblico è un programma di assistenza di base, ma con rimborsi un po’ più alti di quelli di Medicare (l’assistenza sanitaria agli anziani), potrà essere molto utile sia per i pazienti che per gli assicuratori.
Si può ipotizzare un ruolo per le cooperative e le società di assicurazione non profit?
Per quanto riguarda cooperative e compagnie assicurative non profit, senza dubbio il loro ruolo può essere molto importante e penso che nella nuova situazione vi sarà per esse un maggiore sviluppo. Inoltre, è prevedibile anche l’entrata nel mercato sanitario di nuove compagnie for profit.
I vescovi e la CHA hanno chiesto un programma che rispetti la vita e la libertà di coscienza di tutti gli operatori. Come si può assicurare che ciò avvenga?
I vescovi e la Catholic Health Association hanno affermato che il rispetto della vita dal momento del concepimento fino alla morte naturale è un requisito irrinunciabile della riforma sanitaria. Entrambi abbiamo chiesto che fondi federali non venissero usati per sostenere un programma pro aborto e abbiamo posta molta attenzione a che il linguaggio utilizzato nella legge fosse aderente all’impegno preso dal presidente Obama di non dare finanziamenti federali all’aborto. Abbiamo anche chiesto che venissero protetti i diritti di coscienza per i lavoratori e le istituzioni del settore.
Siete rimasti soddisfatti?
Una particolare attenzione la si è dedicata alla verifica del linguaggio usato nella proposta approvata alla Camera, in cui vi è anche un esplicito riferimento all’Emendamento Hyde, che vieta fondi federali diretti all’aborto. Rimane però da vedere se lo stesso linguaggio giuridico verrà rispettato nel progetto che verrà approvato dal Senato e nel testo finale della legge. È importante che noi si collabori con i parlamentari e con la Casa Bianca perché ciò avvenga. Per il momento, tuttavia, le proposte in discussione sembrano assicurare una corretta protezione della libertà di coscienza.
Per riassumere, quali sono gli aspetti più importanti della riforma che interessano i vescovi e le istituzioni cattoliche?
Prima di tutto, il rispetto della vita e della dignità di ogni persona dal concepimento alla morte naturale. Ciò significa non coprire con i fondi federali aborto ed eutanasia, ma comprende anche il dare assistenza sanitaria a chiunque ne abbia bisogno, non solo a chi può permetterselo. È essenziale che ciò sia fatto con modalità rispettose e con alta qualità, che si concentrino sulla prevenzione e con particolare attenzione per i più vulnerabili nella nostra società, con finanziamenti sufficienti e con un atteggiamento di responsabilità condivisa tra chi fornisce i servizi e chi ne usufruisce, come pure da parte delle imprese.
Di riforma della sanità Usa si è sempre parlato. Qual è la riforma ideale, per voi?
Diversi anni fa, preparandosi alla riforma sanitaria, la Catholic Health Association ha sviluppato una propria visione di ciò che vorrebbe fosse nella riforma: assistenza sanitaria disponibile e accessibile a tutti, con particolare attenzione ai poveri e ai più deboli, orientata alla salute e alla prevenzione, finanziata sufficientemente e in modo corretto, gestita in modo trasparente e con il consenso della gente, centrata sul paziente, sicura, efficiente e progettata per offrire la maggior qualità possibile. Questi pensiamo siano gli elementi essenziali e lavoriamo per realizzarli.