L’elezione di Bersani alla segretaria del Pd apre nel centrosinistra un processo di trasformazione: le consultazioni con tutti i partiti alternativi al centrodestra sono iniziate, ma non mancano i dissensi, come quello di Francesco Rutelli che abbandona il progetto del Partito Democratico. Nel centrodestra sembra invece risolto l’attrito tra il premier e Tremonti e le riforme aspettano di essere portate a termine. Vittorio Feltri, direttore de Il Giornale, analizza il quadro politico che si sta delineando.
Direttore, qual è lo stato di salute del governo?
Le polemiche interne che riguardavano il ministro Tremonti mi sembrano rientrate e per quanto riguarda l’assetto di governo non vedo altre turbative in atto. Certamente il Lodo Alfano ha gettato nello sconforto il Presidente e i suoi uomini e le prossime scadenze giudiziarie non possono non preoccupare.
I chiarimenti tra il Premier e Tremonti hanno evidenziato la difficoltà di conciliare le riforme al rigore economico. Quale strada prenderà secondo lei l’esecutivo?
Se parliamo delle riforme che riguardano il Fisco penso che si possano e si debbano fare, ma compatibilmente con le disponibilità di bilancio. Come accade in ogni famiglia, se mancano i soldi si rimanda l’acquisto del televisore o delle vacanze, ma poi una soluzione si trova.
Riguardo alle altre riforme, che implicano la modifica della Costituzione, il discorso è un po’ più complicato.
Si riferisce a quella della Giustizia?
Sì, una riforma all’acqua di rose si può fare anche subito, se invece, come mi par di capire, si vuole un cambiamento radicale, allora bisogna toccare la Carta.
Questo cosa implica?
Per modificare la Costituzione servono i due terzi dei consensi in Parlamento, che il centrodestra non ha. Si possono fare delle modifiche con la maggioranza del 50% più uno del Parlamento, ma il Parlamento stesso deve poi esaminare le modifiche due volte in ogni singolo ramo e c’è il rischio di un referendum confermativo.
Finchè i poteri del Parlamento e della Costituzione sono quelli attuali qualsiasi governo avrà sempre a che fare con ostacoli talvolta insuperabili.
Prima ha fatto riferimento ai problemi giudiziari. Che rischi corre il governo?
Dopo la bocciatura del Lodo Alfano il Premier è scoperto. Nessuno può mettere in dubbio che il rapporto tra Berlusconi e la giustizia costituisca una grave anomalia. L’anomalia non è però Berlusconi, ma le iniziative prese nei suoi confronti: 103 procedimenti, di cui solo 9 sono andati in prescrizione. Un accanimento unico al mondo, che si concentra, a posteriori, su presunte irregolarità che risalirebbero addirittura agli anni Ottanta.
Quali sono le scadenze a cui aveva accennato?
In primavera il Presidente sarà processato per il Caso Mills. A mio parere la vicenda presenta qualche stranezza: Mills aveva dichiarato di aver ricevuto dei soldi da un imprenditore sudamericano. In seguito ad alcune grane con il fisco inglese cambiò versione dicendo di averli avuti in regalo da Fininvest, precisamente da Bernasconi, grande manager amico di Berlusconi, che però purtroppo è morto e non può dare la sua versione dei fatti. La ricostruzione del viaggio che questi soldi hanno fatto chiarisce che non sono usciti da nessuna tasca di Berlusconi, che allora non aveva alcune firma sulle attività internazionali del gruppo, ma solo qualche firma sulle attività interne.
Secondo lei come si concluderà il processo?
Nonostante tutto quello che ho riassunto in breve, molti ipotizzano una condanna, che provocherebbe uno sfascio dalle conseguenze inimmaginabili.
Sono però convinto che Berlusconi, uomo incapace di deprimersi per un tempo superiore ai 15 minuti, riuscirà a trovare il morale, la forza e la fantasia per qualche contromossa.
Secondo il suo ragionamento quindi tra il governo e le riforme rimangono la lentezza del sistema e l’incognita giudiziaria. La squadra però è compatta o c’è ancora chi rema contro?
In base alla mia esperienza posso dire che in qualsiasi azienda e in qualsiasi attività umana collettiva, in cui molte persone lavorano a un progetto c’è sempre qualcuno che rema contro. Ho diretto circa dieci giornali e di questo mi son sempre reso conto. Mi sembrerebbe normale che anche in seno al Governo ci sia qualche insoddisfatto, qualcuno che si senta sottoutilizzato e in cui il malumore possa trasformarsi in ostilità.
Se queste sono le difficoltà maggiori, quali risultati raggiungerà secondo lei il governo entro la fine di questa legislatura?
Per ora il governo è riuscito a mantenere fede agli impegni presi e ha dovuto affrontare parecchie emergenze, come il terremoto in Abruzzo, o i rifiuti di Napoli, ma soprattutto una crisi economica come quella che stiamo attraversando, sui cui sviluppi sento pareri opposti.
Se il governo dura, penso comunque che potrà realizzare l’80% di quello che aveva in mente.
Cosa farà Berlusconi al termine della legislatura secondo lei. È plausibile che nel tempo si sceglierà un successore?
Nessun uomo pensa al proprio successore. Le nostre attività, come la direzione di un giornale o, a maggior ragione, la conduzione del governo, non si rivolgono ai posteri, ma ai contemporanei. È giusto pensare che quando non saremo più in questo mondo gli altri sapranno arrangiarsi. Il cimitero è pieno di persone indispensabili.
Lei ha ipotizzato un ritorno di Prodi alla guida del centrosinistra, smentita però dal suo portavoce…
Un giornale deve saper leggere tra le dichiarazioni e le situazioni che si creano. Se Bersani sostiene che bisogna allargare la coalizione, riesumare l’Ulivo e fare di Prodi il Presidente del nuovo Partito Democratico gli indizi ci sono tutti.
Crede davvero a questa ipotesi?
Il ripristino dell’Ulivo non può avvenire senza uno come Prodi, capace di fare la sintesi di un’ammucchiata di partiti. Non dimentichiamoci che il Professore è l’unico che per due volte ha battuto Berlusconi, anche se non è mai riuscito a governare perché è sempre stato fatto fuori dalla sua stessa coalizione. Il ritorno allo schema dell’Ulivo mi sembra che annulli lo spirito nel quale era nato il Pd e un’alleanza tra otto o nove partiti con idee e patrimoni culturali diversi, se non contrapposti, non va lontano. Già è difficile andare d’accordo con una moglie, figuriamoci con nove.
Lasciando i due schieramenti e passando ai giornali. Qual è la sua ricetta per vendere così tanto?
Posso solo dire che sono molto spontaneo, ascolto i sentimenti e le curiosità che provo, quelle cioè di un uomo qualunque. Usando questo termine si è tacciati di qualunquismo, diciamo allora quelle del famoso “uomo della strada”, o meglio dell’uomo comune. Io ragiono come un uomo comune e mi sforzo di rimanere così. Se mi mettessi in un’altra situazione non riuscirei neanche a rappresentare la classe sociale a cui appartengo. Io nasco in una famiglia piccolo borghese, divento poi, per mia fortuna, un medio borghese e rimango attento a questi umori e malumori, cercando di interpretarli.
Non cerco mai il titolo bello, elegante, alto, lo preferisco spontaneo e capace di arrivare. Allo stesso modo scrivo articoli che si possano leggere d’un fiato e non costringano a tornare indietro, mantenendo un linguaggio colloquiale.
Da direttore de Il Giornale e da fondatore di Libero ritiene possibile l’ipotesi di una fusione tra i due giornali?
Secondo me i giornali somigliano molto ai partiti. Non ho mai visto due partiti fondersi in uno portandosi dietro tutto il loro patrimonio. Non penso che riguardo alle copie vendute un’operazione di questo tipo vedrebbe rispettata la somma aritmetica delle vendite di entrambi. Non è detto, tra l’altro, che tutti i lettori gradirebbero la fusione e inizierebbero a comprare questo nuovo prodotto. Aggiungo anche che fondere due redazioni è una cosa molto difficile.
Il Giornale poi, era in condizioni precarie, visto che nel 2008 ha prodotto 22 milioni di euro di deficit. Se riuscissimo a mantenere il patrimonio di copie conquistato in questi mesi provando a incrementarlo e confidando anche in un aumento di pubblicità, si potrebbe arrivare vicini al pareggio di bilancio nel 2010.
È un’ipotesi che state valutando?
Io non ci ho mai pensato e non ne capisco la convenienza economica, può darsi però che ci abbiano pensato gli editori. Tutto è possibile, alcuni mesi fa non avrei mai pensato di dirigere Il Giornale.