Martin Schulz, capogruppo del Pse al parlamento europeo, sostiene che la mancata nomina di Massimo D’Alema al vertice della politica estera del Vecchio Continente è colpa del governo italiano che avrebbe smesso di appoggiarne la candidatura. Per Franco Frattini, ministro degli Esteri italiano, la responsabilità è solo dei socialisti europei.



Facciamo parlare i fatti. Mister Pecs spettava ai socialisti che in un primo momento avevano caldeggiato sia D’Alema sia David Miliband. Dopo il ritiro di Miliband era rimasta in campo, come candidatura di prestigio, solo quella di D’Alema. Se nell’incontro intergovernativo i governi socialisti avessero appoggiato il leader italiano, D’Alema oggi sarebbe ministro degli Esteri europeo. Qualunque cosa dica Schulz, le cose sono andate così. Si apre così un nuovo fronte fra il Pse e il Pd.



Nel partito italiano si era raggiunto, dopo le elezioni europee, un fragile compromesso sull’adesione internazionale. La componente popolare e quella rutelliana, che oggi è in parte fuori dal partito, avrebbero voluto fondare una nuova formazione.
Gli ex Ds avevano con successo proposto di definire “Democratico e socialista” il vecchio gruppo del Pse. La nomina di D’Alema avrebbe rafforzato questa corrente e aperto i socialisti europei a tutte quelle nuove forze che rifiutano le antiche denominazioni.

 

 

La polemica ora si è riaperta. Non solo perché esponenti non Ds del Pd oggi vogliono rimettere in discussione il vecchio accordo, ma anche perché emergono delusioni e amarezza anche fra i dalemiani che si erano battuti per non perdere l’aggancio con il Pse.



Siamo vicini a una scissione nella sinistra europea? Probabilmente no, ma dopo il caso D’Alema Pse e Pd sono più lontani.
L’ingratitudine della famiglia socialista europea verso l’ex premier italiano attenua il vincolo di appartenenza. Il risultato è che il Popolo delle Libertà è parte integrante del Partito popolare europeo, mentre il Pd è praticamente solo in Europa. Questa volta non per colpa di Rutelli ma di mister Schulz.