Il quadro politico di questi giorni vede un centrosinistra in piena trasformazione: Bersani ha dato inizio alle consultazioni con i leader dei partiti con cui costruire le nuove alleanze, mentre Rutelli ha scelto di abbandonare il progetto del Partito Democratico. Il centro si prepara ad accoglierlo e a ingrandirsi raccogliendo personalità che finora sono state fuori dalla politica, mentre il centrodestra, dopo i chiarimenti interni, si appresta ad accelerare sulla strada delle riforme. Ilsussidiario.net ha chiesto un parere a Nicola Piepoli, fondatore e presidente dell’Istituto Piepoli, sul gradimento dell’opinione pubblica nei confronti dei diversi schieramenti.
Nei suoi primi 700 giorni di vita, elezione dopo elezione, il Pd ha disperso milioni di voti, rendendo impossibile la cosiddetta “vocazione maggioritaria” di veltroniana memoria. Il nuovo segretario punta ad allargare il consenso per diventare “baricentro” di un nuovo centrosinistra che sembrerebbe ripresentare lo schema dell’Ulivo. Riuscirà in questo progetto, secondo lei?
Innanzitutto devo dire che tra i tre candidati alla segreteria in realtà non c’è mai stata gara, Bersani in base alle forze in gioco era destinato a vincere.
Detto questo, l’ex ministro porta con sé il modello Emilia-Romagna: “legge ed ordine” all’interno di un centrosinistra avanzato. A mio parere Bersani ha dato il meglio di sé come Presidente della regione rossa per eccellenza, più che come ministro del Governo Prodi. Quello è il suo modo di operare, è un “Nixon di sinistra”, con lui sono tutti soddisfatti di essere al loro posto, il partito funziona e si compatta, cosa che non succedeva negli ultimi tempi.
In che misura può allargare il suo consenso?
Bersani sembra la persona giusta al posto giusto, è un segretario capace di guidare l’espansione, anche se limitata, di un partito che ha un avvenire. Il Pd, che adesso viaggia intorno al 26%, può arrivare almeno fino al 30%. Il nuovo segretario non ha certo una personalità tale da realizzare rimonte incredibili, non arriverà mai al 40%, ma non sarebbe giusto chiedergli miracoli.
I suoi primi giorni da segretario sono stati segnati però da abbandoni eccellenti, come quelli di Rutelli e di Cacciari?
È inevitabile, non mi ha affatto stupito che alcune forze siano state “scartate” da Bersani. In sostanza mi sembra una fuga di poche personalità che non sono disposte ad accettare quella “legge ed ordine” di cui parlavo prima. In che misura Rutelli è in grado di sottrarre voti al Pd? Il peso di Rutelli a livello nazionale corrisponde a circa il 2% (se consideriamo le intenzioni di voto siamo tra le 400.000 e le 600.000). Penso che l’1,5% possa portarlo in dote in un ipotetico nuovo partito di centro guidato da Casini. In un certo senso però Rutelli si arrende al leader dell’Udc.
Cosa intende?
Casini è la personalità emergente che può accogliere Rutelli nella sua formazione e rappresenta uno dei pochi casi di profezia che si autorealizza. Le spiego, fin da ragazzo amici e nemici di Pierferdinando dicevano “questo ragazzo farà molta strada”. Ora non è più un ragazzino, ma la profezia si sta avverando e continua a realizzarla.
L’Udc potrebbe quindi salire dal 6% all’8%, o addirittura avvicinarsi al 10%.
Stiamo sempre considerando il dato nazionale, non il risultato che potremmo aspettarci dalle Regionali?
Esatto, parlo del dato nazionale. C’è una distorsione dei dati delle regionali, che sono leggermente tendenti a sinistra rispetto al dato nazionale.
L’avanzamento del Pd può voler dire un arretramento dell’Idv di Di Pietro?
Il partito di Di Pietro è in effetti abbastanza oscillante. Mantiene una sua forza di protesta, che in un periodo di mancanza di lavoro non manca mai. Potrebbe però rientrare nella sua carreggiata, dalla quale era uscito ultimamente.
Lo schieramento di centrodestra, nonostante i litigi interni e lo smacco del Lodo Alfano, sta riuscendo a mantenere il suo patrimonio di consenso?
Episodi come il chiarimento tra Tremonti e il premier non spostano di molto il consenso del governo e soprattutto del suo unico leader, Silvio Berlusconi.
Segnalo un dato di una ricerca conclusa oggi. Mi riferisco all’annuario sulle opinioni degli italiani di cui è quasi pronta la terza edizione. Grazie allo strumento “Millementi”, una tavola rotonda di opinion leader (diciamo gli “Aristoi” del Paese) abbiamo chiesto di indicare i primi cinque leader nei diversi ambiti: politica, moda, sport, ecc.
Il risultato?
Il risultato dà un solo nome: Silvio Berlusconi, indicato come leader non solo politico, ma anche dello sport, e, addirittura, delle gerarchie ecclesiastiche… Scherzi a parte, questo ci dice che è un leader multipolare, con un consenso addirittura superiore a quando “scese in campo” nel ’94.
Secondo l’opposizione la Lega è il partito che ha in mano l’agenda politica del governo, forte di un’ascesa che sembra non arrestarsi mai, soprattutto nelle zone più produttive del Paese. Il partito di Bossi è destinato a crescere ancora?
A forza di sentirne parlare mi sono interessato al fenomeno Lega. Direi che il suo è il modello “svizzero”.
Ho una casa a Montreaux: le posso dire che in questa città gli orologi vengono regolati in base all’arrivo dei treni e non si trovano mai cartacce per strada.
Si potrebbe dire che questa città è amministrata da un “leghista”, nel senso di un amministratore che cura al massimo la sua città.
Questa è la forza della Lega, la meritocrazia come metodo di scelta tra gli amministratori, che sanno curare le proprie città. È questo il motivo del successo della Lega Nord?
La storia non si fa a impennate, ma giorno dopo giorno e questo giustifica la crescita costante della Lega, con il buon governo e il radicamento sul territorio.
Da ultimo, l’opinione pubblica le sembra turbata dagli scandali che stanno investendo sempre più spesso la politica?
L’evento della scorsa settimana è stato sicuramente lo scandalo Marrazzo e l’opinione pubblica si è interessata. Non direi però che sia rimasta eccessivamente turbata, in questo mondo un po’ triste è stata forse l’occasione per scherzare un po’ sui vizi dei potenti. In fondo non è morto nessuno.