Durante le ultime fasi della competizione interna al Partito Democratico, per l’elezione del nuovo segretario, Dorina Bianchi fu al centro di un’aspra polemica, a proposito dell’indagine conoscitiva sulla pillola abortiva Ru486. Non era certo la prima volta che su un tema etico il Pd andasse in fibrillazione, come aveva confermato lei stessa in un’intervista a ilsussidiario.net, ma il congresso e le primarie erano troppo vicine per prendere decisioni importanti. L’auspicio delle diverse mozioni sembrava quello di riuscire a trovare un nuovo segretario, capace di rimettere in moto le diverse componenti del partito in vista di un progetto comune.
L’elezione di Pier Luigi Bersani sembra però aver accelerato il processo di abbandono di esponenti dell’area cattolica e moderata come Rutelli (oggi leader di“Alleanza per l’Italia”) e la stessa Bianchi, che ci spiega le ragioni della sua decisione.
Senatrice Bianchi, la sua scelta di lasciare il Pd sembra figlia di un disagio che viene da lontano. Quando ha capito che il Partito democratico non era più casa sua?
Il percorso tracciato dai cattolici della Margherita è stato positivo e coerente ed è culminato nella nascita di un nuovo partito: il Pd. Un progetto ambizioso nel quale ho creduto e investito. Col passare del tempo però i nodi sono venuti al pettine.
A cosa si riferisce?
Le polemiche che hanno accompagnato la mia elezione a capogruppo sono state forse il primo campanello d’allarme. L’obiezione a quella decisione era sostanzialmente che una cattolica, anche se portava avanti laicamente i suoi valori, non poteva rappresentare il partito. La Serracchiani venne eletta al Parlamento europeo portando avanti proprio questa tesi. Iniziava a essere chiaro che per determinate posizioni non c’era posto.
Bersani, commentando la sua decisione e quella di Rutelli, lascia intendere che sta abbandonando il Pd chi non ha intenzione di confrontarsi e di lavorare per trovare una sintesi. È così?
Mi spiace, ma nonostante le dichiarazioni, nel Pd il confronto non c’è e la linea è già tracciata, in senso laico e individualista. Le posizioni cattoliche sono destinate a soccombere, chi le porta avanti o rinuncia a incidere o viene attaccato e considerato un estraneo.
Il fatto che il segretario non mi abbia nemmeno chiamata indica che l’uscita dei cattolici non è poi così dolorosa, ma è il risultato naturale di una virata di natura politica, legittima, ma che non posso condividere.
Nemmeno gli altri esponenti dell’area cattolica hanno voluto farle sapere come la pensavano?
Da questo punto di vista gli attestati di stima sono stati molti più di quanto mi aspettassi. Merlo, Binetti, Carra, Bobba e molto altri mi hanno espresso il loro disagio. Spero che questa decisione possa innescare un meccanismo positivo in grado di rimettere all’ordine del giorno il dialogo tra le diverse anime.
Questi primi mesi di segreteria Bersani sono stati segnati dall’uscita di alcuni esponenti cattolici, ma anche dal difficile rapporto con l’area giustizialista, che il nuovo segretario si era riproposto di riequilibrare. La manifestazione “No B Day” ha mostrato un partito diviso, ancora a metà strada tra l’antiberlusconismo e l’alternativa di governo. Qual è il suo giudizio in merito?
Anche se le manifestazioni promosse dai cittadini meritano grande rispetto, Bersani, a mio parere, ha fatto benissimo a non partecipare. Purtroppo, ancora una volta, c’è chi vuole distinguersi strumentalmente e indebolire il segretario. L’immagine che viene fuori è quella di un partito in grande difficoltà: la linea di Bersani è stata smentita nei fatti dal Presidente del partito e dal capogruppo alla Camera.
Su questo tema quindi si ritrova più vicina a Bersani che a due esponenti di spicco dell’area cattolica e moderata come Bindi e Franceschini?
Riconosco a Bersani una posizione netta e positiva. Per quanto riguarda Franceschini, che avevo sostenuto come candidato alla segreteria, prendo atto della sua deriva laicista e giustizialista, nella quale non mi ritrovo. Berlusconi va combattuto su ciò che non ha saputo fare e sulle promesse non mantenute, non con gli attacchi personali. Il Paese ha bisogno dei moderati, anche se oggi sono sparpagliati nei diversi partiti e non riescono a rappresentare una forza che in Italia c’è.
Quali sono le ragioni della sua scelta di approdare all’Udc di Casini e non nel nuovo soggetto politico di Rutelli?
Casini in questi anni ha saputo guidare un partito moderato e moderno, in grado di porsi come alternativa di governo. Ha collaborato con Berlusconi quando il confronto era possibile e ha preso le distanze quando non c’era spazio per un dialogo serio. La bussola deve essere la modernizzazione del Paese, non l’anti-berlusconismo fine a se stesso. Per Rutelli ho grande stima e spero che in futuro queste due forze possano incontrarsi.
L’Udc, a suo parere, scommette già sula fine del bipolarismo? In questa fase è pronto ad allearsi a uno dei due poli?
Con questa legge elettorale e le alleanze sono indispensabili. Questo non toglie che il sistema elettorale si possa modificare. Spero che le alleanze verranno decise sulla base di progetti comuni, costruendo una vera alternativa al governo Berlusconi.
Lei fa ancora riferimento a Berlusconi come a un avversario e non come a un possibile alleato. Se la sente di escludere un’alleanza tra Udc e Pdl nell’immediato futuro?
Sono l’ultima arrivata nell’Udc e non voglio parlare delle alleanze del mio nuovo partito. Dico però che a mio parere la stagione di Berlusconi si sta avviando al termine. Nonostante questo il Pdl avrà, secondo me, la capacità di riorganizzarsi attorno ad altri leader, trovando al suo interno quelle energie che gli permetteranno di crescere in democrazia interna, diventando sempre più un grande partito con il quale interloquire.