L’aggressione di domenica scorsa al Presidente del Consiglio ha interrogato il mondo politico e quello dell’informazione. Sembra necessaria una responsabilità maggiore da parte di tutti “prevenendo ogni impulso e spirale di violenza” come ha detto il Presidente della Repubblica, per tornare al più presto alle questioni fondamentali del Paese. Alessandro Sallusti, condirettore de Il Giornale, analizza il quadro politico e i suoi principali cambiamenti, alla luce di questo episodio.

I timidi segnali di disgelo che hanno seguito l’aggressione a Berlusconi possono segnare un primo inizio di discontinuità rispetto al clima di odio che abbiamo vissuto negli ultimi mesi?



In queste ore vedo molta ambiguità più che dei segnali di distensione. Mi auguro però di vederne presto in modo da scongiurare altri episodi di violenza.

Secondo lei il mondo dell’informazione avrebbe potuto far qualcosa per non esasperare il clima?
Negli ultimi mesi abbiamo assistito a una sorta di guerra tra le principali testate…



È vero, è in atto una guerra, il Presidente del Consiglio in questi mesi è stato accusato di essere un dittatore, un pedofilo e infine un capomafia. In questo modo si incendia il Paese. Gli stessi che appiccano il fuoco però non possono fingersi pompieri, pretendendo che chi viene attaccato con il bazzoka risponda con le fionda.

Chi può fare un primo passo per porre fine a questa clima di scontro? Quale autocritica si sente di fare?

I giornali sono un’opera imperfetta di natura, perché i tempi, gli spazi a loro disposizione e le semplificazioni di cui hanno bisogno li rendono imperfetti. Tutti i giornali, compreso il mio, ogni giorno sbagliano: a volte bisognerebbe essere più prudenti, altre volte bisognerebbe accertare meglio alcuni dettagli. Quello che posso dire è che nella sostanza delle notizie affrontate e nelle posizioni che abbiamo preso però non ho grandi ripensamenti. Di certo continueremo a denunciare le ambiguità della politica perché lo ritengo un servizio ai cittadini.

Nel centrodestra Fini è stato spesso accusato di ambiguità verso il premier e il Pdl. Il grave episodio di Piazza Duomo nella sostanza ha riavvicinato le loro posizioni?



Il rapporto di Fini con la sua maggioranza, nello specifico con Berlusconi, era a un punto di non ritorno. Quello che è successo potrebbe riavvicinare i due, anche a livello umano. A livello politico risulta invece evidente che l’ipotetico fronte nazionale anti-berlusconiano evocato da Casini e che in qualche modo comprendeva anche Fini non è un’alleanza politica, ma un’unione strumentale. Se i compagni di viaggio sono Di Pietro, Travaglio e Rosy Bindi per Fini e Casini l’imbarazzo è inevitabile.

Fini ha rivendicato però una sua coerenza, contestando i cosiddetti “falchi” del Pdl, che a suo parere danneggiano lo stesso Berlusconi. Il fatto che abbia definito “deprecabile” la decisione del governo di porre la fiducia sulla Finanziaria è un legittimo dissenso?

La decisione e l’espressione che ha voluto usare confermano ancora una volta il fatto che Fini continua per la sua strada in aperto conflitto con il Pdl. Il richiamo a “colombe” e “falchi” è strumentale, chi lavora per dare copertura politica allo schieramento opposto non è una “colomba”. Lo stesso vale per il centrosinistra.

Cioè?

Dietro le dichiarazioni di solidarietà, le “colombe” del centrosinistra non stanno tirando le inevitabili conseguenze politiche che la situazione suggerirebbe. Non si può denunciare la gravità di quanto è successo e parallelamente essere alleati con chi semina violenza.

Il nuovo segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, si era però esposto non partecipando a manifestazioni come il “No B Day”.

Purtroppo anche la partita che sta giocando il Pd è nel segno dell’ambiguità: Bersani non partecipa al “No B Day”, ma il suo partito sì, critica Di Pietro, ma non rompe l’alleanza. La verità è che il Pd è elettoralmente interessato all’area della sinistra radicale e movimentista (secondo Mannheimer il 20% degli italiani non condanna apertamente o addirittura applaude il gesto di Tartaglia). È un’operazione socialmente pericolosa, perché l’area radicale ha così la copertura dei moderati di sinistra. Per questo motivo penso che l’aggressione di domenica ha dei mandanti politici chiari e parecchi complici.

E chi sarebbero i responsabili?

 

 

Chi, come Di Pietro, paragona Berlusconi a Mussolini non può stupirsi del fatto che qualcuno passi all’azione. Se poi anche i moderati come Casini parlano di Comitato di Liberazione Nazionale il rischio è quello di incitare alla resistenza contro il dittatore.

Ma allora quali sono a suo avviso le condizioni per sancire un nuovo patto, che permetta di riformare la Costituzione?

Diventa difficile qualsiasi tipo di accordo se si continua a parlare di “golpe”. Il fatto è che nessuno vuole abrogare la Costituzione o cambiarne la carta valoriale, si tratterebbe piuttosto di riequilibrare il rapporto tra i poteri dello Stato, adeguandolo ai tempi. Sul fronte della giustizia la Costituzione prevedeva la completa autonomia della magistratura perché il Paese usciva dal Fascismo. Come bilanciamento erano previste delle tutele alla politica, che sono poi cadute sull’onda di Mani Pulite. Mi auguro che chi vuole davvero modernizzare il Paese, rinunciando agli attuali privilegi, si renda disponibile a collaborare in questo senso.