La Cina non si occupa delle elezioni in Italia, trascura i cambi di maggioranza, non comprende e ignora le lotte tra governo e opposizione. Sì, si è meravigliata, come faccenda esotica e pittoresca, della immondizia di Napoli. Si fece torva e sdegnata quando il presidente del Consiglio, Berlusconi, disse che i comunisti cinesi usavano i bambini come concime, ma poi pensò di soprassedere. Erano puerilità, decise, e come tali vennero trattate. Strabuzzò infine gli occhi per il terremoto di L’Aquila e il pronto intervento, ma lì finì. Lunedì 14 dicembre invece, per la prima volta, la televisione centrale ha dedicato un approfondimento all’Italia, chiamandovi addirittura un corrispondente italiano a Pechino, mentre internet e giornali sono esplosi di commenti e notizie. La Cina è incredula e attentissima sulla vicenda della statuetta scagliata in faccia a Berlusconi a Milano.
In primo luogo c’è una questione generale che viene ricordata e che inquieta. La democrazia, il sistema che dovrebbe risolvere pacificamente i conflitti politici interni, in realtà non elimina la violenza dal confronto di poteri, anche se la violenza certo è l’eccezione e non la regola. La statuetta contro Berlusconi ricorda l’attentato contro Reagan o quelli contro altri presidenti e capi governo sparsi per il mondo. Questo comunque è un tratto comune di tutti i sistemi liberali, dove l’attentato del singolo o la complicata cospirazione non possono essere esclusi, anche se sono casi probabilmente inferiori a quelli che si registrano in sistemi autoritari.
Alle spalle però della vicenda italiana c’è un altro elemento che interessa la Cina: l’esasperazione e la violenza del dibattito politico nazionale. Questo ha toni drammatici, quasi da rivoluzione, o da anticipo di un confronto da guerra civile. È parte della natura esagerata, da opera lirica, del carattere italiano? O è vera tensione politica? La Cina non sa decidere, e forse l’Italia stessa non lo sa. Pechino sa che se l’Italia, terza, quarta economia d’Europa, entrasse in crisi, il vecchio continente e l’Unione europea rischierebbero l’implosione, o peggio, l’esplosione.
L’Italia si affanna nella rincorsa delle colpe. È stato Berlusconi, dice l’opposizione, a personalizzare la politica, ad abbassare il livello dello scontro, il livello della cultura, a concentrare e accumulare i poteri corrompendo ogni cosa e pestando l’anima del sistema democratico: la divisione dei poteri. È stata l’opposizione, dicono i berlusconiani, a usare la giustizia come un randello per rovesciare il responso delle urne, a concentrare gli attacchi sul premier per mascherare la propria pochezza di programmi e di politiche.
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Nel mezzo della battaglia delle colpe il paese diventa un campo di battaglia, e chi sta in mezzo o grida “pace, ragionevolezza” viene massacrato dall’uno e dall’altro. In effetti, in genere, la ragionevolezza del compromesso si raggiunge solo in seguito a uno stallo, in mancanza del quale le due parti cercano la vittoria assoluta convinti che questa sia l’unica garanzia della propria sopravvivenza.
Così, nell’Italia dei veleni e dei sospetti si aggira anche un’altra ipotesi: l’attentatore con la statuetta era solo un colpo di teatro, un gesto ad effetto… una minaccia. Qualcuno che ha mandato avanti il pazzo, oppure lo ha lasciato filtrare tra le maglie della sicurezza per dire a Berlusconi: ritirati o la prossima volta in faccia avrai un colpo di pistola e non una mattonella. Questa sola ipotesi, che aleggia tra i più cinici e scettici a Roma, scoppia peggio di una cannonata. Questa voce da sola è il segno del degrado della vita politica italiana e lascia tutti più spaventati e impotenti. È una voce che non potrà essere mai provata o smentita e che prova, al di là di ogni smentita, il ritorno a voglie di colpo di stato. Qualcuno a sinistra può usarla per minacciare: Berlusconi dimettiti o ti spariamo. Per qualcuno a destra è una minaccia di altro tipo: bisogna sbarazzarsi degli estremisti e concentrare il potere. Nell’uno e nell’altro caso si allunga l’ombra di una dittatura e ritorna l’incubo dei doppi ed opposti estremismi che hanno perseguitato l’Italia degli anni ’70.
In realtà, secondo italianisti cinesi, lo Stivale è perseguitato da un destino tragico per cui ogni 20, 30 anni subisce forti sconvolgimenti che ne mettono a rischio la stabilità politica e sociale. Venti anni fa, con il crollo del muro di Berlino, ci fu in Italia il crollo del sistema dei partiti che avevano dominato la scena pubblica dal dopoguerra in poi. Vent’anni prima ancora ci fu il ’68 e ancora 20 anni prima c’era stato il ’48, la creazione di un blocco politico incentrato sulla Democrazia Cristiana che avrebbe guidato il Paese per i decenni successivi. Prima c’era stata la guerra e il notorio “Ventennio” fascista, preceduto da un altro periodo di fortissime tensioni e dalla prima guerra mondiale. Per gli italianisti di qui il 1890 fu ancora un momento di grave crisi, con la fine del lungo dominio di Crispi sulla politica italiana a seguito della disfatta di Adua e dello stop alle ambizioni coloniali italiche.
Gli Italiani potranno vedere un eccesso di meccanicismo in questa visione storica, che da una parte rispecchia l’antica idea cinese dei cicli storici, come quelli imperiali, ma che d’altronde trova riscontro nella illustre tradizione italiana di Giambattista Vico, il quale vedeva corsi e ricorsi storici nel passato. Di certo, la statuetta in faccia a Berlusconi riporta alla luce una questione irrisolta sin dall’inizio di Mani Pulite. Berlusconi avrebbe dovuto far parte di quelli da eliminare nella campagna di pulizia lanciata dai giudici agli inizi degli anni ’90.
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In realtà Berlusconi non è stato eliminato, anzi ha tratto vantaggi dal quasi azzeramento della vita politica italiana di quegli anni, prendendo a sorpresa il potere e avvitando in un paradosso la vita politica nazionale: capo del governo e capo del maggiore impero mediatico italiano. Né però sono stati eliminati o fermati i giudici che erano stati il motore, insieme ai giornali, di quel cambiamento rivoluzionario. Né la sinistra ha cercato seriamente di rompere il monopolio mediatico di Berlusconi quando, per esempio al potere con il primo o secondo governo Prodi o con quello D’Alema, avrebbe potuto farlo. Allora il governo avrebbe potuto privatizzare la Rai, e ciò avrebbe tolto risorse industriali a Berlusconi. Ma non lo fece e da qui, in Cina, non si capisce perché. Paradossalmente oggi la più grande sfida mediatico/industriale (con impatti politici forti) a Berlusconi viene da un altro controverso tycoon, Rupert Murdoch, che con la sua Sky sta erodendo il potere industrial/politico di Fininvest dove fa più male… nel portafogli.
Nel complesso sono trascorsi 15 anni dalla prima vittoria elettorale di Berlusconi senza che una delle due parti sia riuscita a prevalere nettamente sull’altra o che si sia riusciti a raggiungere un compromesso sostanziale. I paradossi italiani sono ancora tutti lì e tutti enormi. Visti dall’esterno i giudici italiani riescono a scuotere la politica più dell’apparato giudiziario di qualunque altro paese democratico, ma Berlusconi ha un cumulo di poteri (appunto: presidenza del Consiglio, capo del più potente impero di media del paese) senza paragoni in altri paesi occidentali.
I giudici spiegano il loro potere con le malefatte altrui e di certo hanno meriti storici nel paese, quelli di avere salvato l’Italia e la sua democrazia dalla doppia sfida del terrorismo e della mafia. Per Berlusconi la storia è più contorta, perché si diede alla politica solo dopo che esponenti di sinistra avevano minacciato di distruggere il suo impero economico, nato all’ombra di Craxi, il leader socialista vittima illustre di Mani Pulite. D’altro canto l’incrocio di poteri industriali con quelli bancari, editoriali e politici è una caratteristica italiana di lungo termine, ed in altri posti sarebbe considerata incestuosa per la libertà di opinioni e del mercato. Nessuno delle forze in campo però vuole cedere una parte del suo potere per timore di essere ingannata e sopraffatta dalle altre. In altre parole, manca la fiducia reciproca per trovare una mediazione e manca una forza esterna che garantisca e imponga una mediazione o la prevalenza di qualcuno su un altro.
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La storia del ’48 può essere letta certo come la vittoria della Democrazia Cristiana sui comunisti, ma anche sulla base del fatto che i comunisti accettarono l’esito elettorale, perché la DC era sostenuta dagli americani e c’era stata Yalta dove l’URSS rinunciava all’Italia, e il PC italiano si era piegato a questa cornice. Il ’68 in Italia fu tante cose ma anche uno sforzo da parte di settori sovietici, sostenuti da frange della sinistra italiana, di mettere in discussione l’eredità di Yalta e del ’48, mentre estremisti di destra volevano eliminare ogni patto raggiunto con la sinistra. La crisi del dopo l’89 in Italia scoppiò in pieno in effetti nel ’92, quando il presidente americano Clinton eliminò la riserva e il veto contro la vittoria elettorale del PC o dei suoi eredi. Per gli eredi di Togliatti c’era anche l’idea di riprendersi la vittoria elettorale che Usa e Urss avevano sottratto loro nel ’48 a causa di Yalta. Per gli altri, quelli che dal ’48 si erano opposti a Togliatti, c’era il timore di un redde rationem paventato per quasi 50 anni.
In effetti, le elezioni del ’94 e anche quelle successive dimostrarono che l’Italia, come tutti i paesi sviluppati, è dominata da settori moderati, se non proprio conservatori, al di là dei patti internazionali. Questa dovrebbe essere la grande lezione degli ultimi 15 anni, per tutti, destra o sinistra. Anche oggi la maggioranza degli italiani certamente vuole un compromesso, una soluzione mediana, non estremismi di destra, sinistra o anche centro. Ma i poteri che si giocano il Potere in Italia hanno timore l’uno dell’altro e non paiono disposti a compromessi mentre inseguono la vittoria, o la sconfitta, totale. Questo scontro potrebbe trascinare l’Italia nel baratro, cosa che si tirerebbe dietro l’Europa, visto che l’Italia è tante volte più importante della Grecia, paese oggi praticamente in bancarotta e che con questo suo crollo già da solo minaccia l’Unione europea.
In teoria occorrerebbe un governo di salvezza nazionale, che tuteli tutti, ma che a tutti spunti le unghie, e per dargli forza ed esservi forte Berlusconi dovrebbe rovesciare il tavolo ed essere lui stesso a proporlo. Il presidente Napolitano che in questi mesi è parso una roccia in mezzo alla burrasca, è certo l’uomo più adatto per guidare tale transizione. Lo farà? Riuscirà a farlo? Sarebbe seguito? In teoria è molto più facile che, come accade spesso in tali processi storici, semplicemente l’attuale deriva continui senza alcun freno, accumulando con il passare dei giorni e delle settimane tensioni e prospettive di disastri.