Come spesso mi accade, lo scorso fine settimana ho fatto visita ai detenuti del carcere milanese di San Vittore. Tra questi c’era anche Massimo Tartaglia, l’uomo che il 13 dicembre ha aggredito il Presidente del Consiglio Berlusconi. Nessun cenno all’aggressione, a quei momenti concitati e lunghissimi in cui chi, come me, era in piazza Duomo, ha temuto un epilogo decisamente peggiore.
Tartaglia si è detto dispiaciuto. Mi ha detto che da ora in avanti vuole vivere senza guardare la televisione. Credo che questa non sia affatto una frase senza senso balzata alla mente di uno scriteriato attentatore. Credo invece che siano parole che devono far riflettere tutti quanti in Italia. Tutti dobbiamo sentirci chiamati in causa. Tartaglia si è accorto che la verità non è quella che appare, si è sentito tradito da qualcosa che gli sembrava tanto vero quanto terribilmente ingiusto.
Ora, dal carcere, comincia a pensare che forse il concetto di verità è qualcosa di più profondo e che nessun uomo può pretendere di possedere o, peggio, di insegnare al prossimo, oppure peggio ancora, di propagandare: vendendo, attraverso i mezzi di comunicazione a un paese intero una presunta verità che altro non è che ideologia. Per di più dicendo che quegli stessi mezzi di comunicazione sono inquinati dal padre padrone che ha in pugno quel paese.
Trovo in questo senso illuminante la frase di Sant’Agostino contenuta ne “La città di Dio” nella quale dice “Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri? Perché anche le bande dei briganti che cosa sono se non dei piccoli Stati? È pur sempre un gruppo di individui che è retto dal comando di un capo, è vincolato da un patto sociale e il bottino si divide secondo la legge della convenzione. Se la banda malvagia aumenta con l’aggiungersi di uomini perversi tanto che possiede territori, stabilisce residenze, occupa città, sottomette popoli, assume più apertamente il nome di Stato che gli è accordato ormai nella realtà dei fatti non dalla diminuzione dell’ambizione di possedere, ma da una maggiore sicurezza nell’impunità”.
Chi detesta Berlusconi sembra voler declinare in modo distorto queste parole in tutti gli avvenimenti della politica italiana, ergendosi a difensore dell’unica giustizia vera: la propria. Per non far sì che veramente nel nostro paese a vincere sia la “banda di ladri” che per prima riesce a distruggere il nemico, dobbiamo tornare a riconsiderare le istituzioni come il frutto di un patto di libertà per cui l’uomo, con le sue esigenze, i suoi difetti, i suoi valori e le sue paure sta al centro dell’agire politico. Perché la persona sia di più sé stessa.
In quelle parole di Tartaglia si racchiude questo grido: voglio essere me stesso! Il Natale è il dono di speranza di un Dio che si incarna ed entra nella storia dell’uomo. L’avvenimento della nascita di Gesù Cristo è l’unico baluardo per la libertà del nostro cuore, per un avvenire di pace e di giustizia. Un avvenire in cui si cerchi la verità appunto nel cuore dell’uomo, un avvenire in cui dialogare significhi, come ha detto il Santo Padre “assumersi la sofferenza che comporta la rinuncia al proprio aver ragione” e in cui si consideri l’avversario come un protagonista indispensabile della propria storia e non come un nemico da soggiogare.