Ieri è stata smentita una telefonata “natalizia” tra Berlusconi e Bersani con al centro temi politici, ma il confronto tra maggioranza e opposizione sembra aver ritrovato uno stile più pacato. È stato lo stesso capo del governo, sabato, a dire che «nel 2010 faremo tutte le riforme istituzionali». Il Pd non ha preclusioni, solo ribadisce il no a leggi ad personam. E la cosiddetta bozza Violante, con la quale si è chiusa la scorsa legislatura, resta la piattaforma più solida per discutere di riforme. Ilsussidiario.net ne ha parlato con il costituzionalista Nicolò Zanon.
Ridurre il numero dei parlamentari, differenziare le funzioni di Camera e Senato, potenziare il ruolo del premier e ridiscutere l’assetto istituzionale della magistratura, rivedendo i rapporti tra giustizia e politica. Non è poco.
Non sono così sicuro che su tutte le soluzioni che la bozza Violante indicava ci sia una reale condivisione di merito. Per esempio sulla riduzione dei parlamentari tutti sembrano d’accordo, ma bisognerà vedere come si passa dalle parole ai fatti. Questa riforma spetta proprio ai parlamentari. Sapranno ridursi di numero? Vedremo. Ma il nodo vero riguarda il bicameralismo.
Perché?
In teoria si è tutti d’accordo di fare del Senato una camera dei territori, dunque specializzandola per funzioni. In concreto però non appena si pensa a come articolare questa specializzazione reciproca delle due camere, nascono problemi tecnici enormi. Ci vuole un meccanismo che sia funzionale e che al tempo stesso non faccia del Senato né una camera che fa troppo, né una camera che fa troppo poco. Violante poi esclude il Senato dal rapporto fiduciario con il governo, che intercorrerebbe solo con la Camera dei deputati. Sarebbe una diminuzione politica molto forte.
Cosa vorrebbe dire, in concreto?
Che il Senato non sarebbe più il luogo dove si vota una mozione di fiducia. Al tempo stesso però avrebbe una serie di competenze materiali estremamente rilevanti anche per le scelte di indirizzo politico governativo. Era un problema emerso già nel 2006: al Senato vengono affidate materie di competenza concorrente, rispetto alle quali il governo non ha paradossalmente alcun potere.
E rispetto al tema del federalismo fiscale?
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Capire come raccordare le nuove attribuzioni tributarie dei territori con una rappresentanza in seno al Parlamento, rimane uno dei problemi più seri. In ogni caso, sulla questione del bicameralismo ci sono altre proposte in campo che per ora non sono state discusse perché si dà per scontato il refrain del senato federale.
A quali proposte allude, professore?
All’interessante teoria della “culla” di Leopoldo Elia. Un modo più semplice per risolvere il problema del bicameralismo perfetto. La culla significherebbe questo: che dove un progetto di legge viene presentato, lì viene anche approvato, a meno che l’altro ramo, entro un termine ben definito e con una maggioranza qualificata, non chieda di riesaminarlo. A quel punto si instaura la navetta parlamentare perché serve un testo unificato. Però se l’altro ramo è silenzioso, il procedimento di formazione si esaurisce nella “culla”, cioè dov’è nato. È un’idea sensata che ha il solo torto di non essere al centro del dibattito politico. Potrebbe essere utilmente accoppiata con forme di federalizzazione del Senato.
Il legittimo impedimento sul quale ha così tanto insistito Casini, chiedendo a Berlusconi di fare finalmente per se stesso una legge ad personam, è davvero, come ha detto D’Alema, “l’indecenza meno indecente”?
Sarebbe un modo di risolvere la questione giudiziaria che riguarda Berlusconi senza toccare i processi pendenti. Il processo breve non si applicherebbe più ai processi in corso e potrebbe riguardare solo il futuro, dando alle strutture giudiziarie il margine per adeguarsi ai nuovi tempi dei processi. Secondo me sarebbe la soluzione corretta. Dovrebbe però essere affiancata da uno scudo di rango costituzionale.
Il cosiddetto lodo Alfano bis da approvare in quindici mesi?
Sì. Un meccanismo di legittimo impedimento come quello del progetto Costa-Vietti, ragionevolmente tipizzato in riferimento agli impegni istituzionali di chi assume la carica di presidente del Consiglio, tutelerebbe chi governa in attesa di una legge costituzionale che introduce lo scudo.
Un nuovo lodo permetterebbe al governo di accogliere infine tutte le critiche della Corte costituzionale?
Sì. L’opposizione giustamente dice: tutto questo va inserito in un quadro organico di riforme, e non di un provvedimento ad personam, altrimenti si va dritti al referendum. Mi sembra però che anche da parte dell’opposizione più sensata ci sia la consapevolezza del fatto che questo è un nodo che va affrontato.
Lei cosa si attende?
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A gennaio partiranno senz’altro questi progettini specifici. Mi auguro però che sul tappeto venga messo anche un progetto più ampio, per consentire una convergenza da parte della componente più responsabile dell’opposizione. I tempi in teoria ci sono, ma è un terreno molto scivoloso, dove il minimo intoppo può mandare all’aria qualsiasi programma.
Compreso il buonismo che si respira durante il periodo natalizio?
Mi auguro che non sia così: la concordia sulle riforme che riguardano tutto il paese deve poter andare al di là del 6 gennaio. La politica non è buonismo, ma confronto molto duro su opposti interessi. Spero che ci sia da ambo le parti almeno la consapevolezza che non possiamo sprecare altro tempo.
Come mai il Pd è così contrario ad una tutela tramite immunità? Non converrebbe anche a loro?
Io non credo che il Pd sia culturalmente contrario, ma che abbia il problema di tenere insieme tante posizioni diverse. Però mi pare che di recente, nel gruppo dirigente bersaniano, sia emersa la consapevolezza che il giustizialismo forcaiolo non è mai sazio, e che una volta che avesse divorato Berlusconi e i suoi, non sarebbe appagato, diventando un rischio anche per il Pd. Sanno bene quindi che una soluzione va trovata. Devono però presentarla nel modo più elegante possibile.
L’idea di un soggetto terzo come la vecchia bicamerale è morta e sepolta?
Allora discutiamo del metodo. Qualcuno ogni tanto la ripropone, però mi pare che alla fine bicamerali o costituenti siano soltanto ballons d’essai, perché il gruppo dirigente berlusconiano ha detto chiaramente che le riforme si fanno in Parlamento. La classe politica in carica vuole giustamente governare – e ne ha tutto il diritto – il processo riformatore. E la Costituzione questo prevede: che siano le Camere a fare le leggi di revisione. Lavorerei sul merito, con gli strumenti che ci sono.