Quella del Sindaco Moratti, di dedicare a Bettino Craxi una via, una piazza, un parco a Milano,è  stata una cosa buona e giusta. Anche se potremmo commentare: nel decennale della morte, se dieci anni vi sembran pochi. Comunque, meglio tardi che mai.

E’ una scelta simile a un voler rendere giustizia a un personaggio milanese, innamorato della sua città, dopo anni e anni di demonizzazione che portarono Craxi, prima in esilio poi alla morte. Insieme alla distruzione del suo partito, peraltro accomunato nelle ceneri volute dal circo mediatico giudiziario, alla Dc, al Psdi, al Pri e al Pli. I partiti democratici anticomunisti che ricostruirono, nella libertà e nella democrazia, un’Italia uscita a pezzi dalla guerra.



Craxi era stato individuato come il perno intorno al quale ruotava l’assetto politico di quegli anni Ottanta e Novanta e si sapeva che, colpendo lui, sarebbe stato colpito e affondato l’intero sistema. Di Pietro fu lo strumento non l’attore. Allora come oggi, peraltro. Non è questa la sede per un’analisi dettagliata di quell’operazione “mani pulite” che fece cadere, in Italia, il muro del comunismo dalla parte sbagliata, lasciando cioè sopravvivere, miracolandoli, i post-comunisti.



Meglio riflettere sul ruolo di Craxi nella nostra vicenda storica, di Craxi socialista, di Craxi al governo, di Craxi in esilio. La sua riabilitazione è ormai acquisita, insieme, fra le altre celebrazioni, alle parole che pronuncerà il Presidente Napolitano, noto per il suo equilibrio, onesto e prudente.
Da anni la rilettura del suo “socialismo” ha messo in luce le grandi novità introdotte in un Psi che era sull’orlo della fossa (nel 1976) sottraendolo definitivamente alla sovranità comunista, donde l’ostilità giuratagli, e dandogli un’orgogliosa autonomia rispetto a tutte le altre forze.



Craxi aveva scommesso, contro ogni previsione, sulla tenuta della democrazia e, alla lunga, sulla crisi del sistema comunista, sostenendo in Ungheria, Cecoslovacchia, Polonia ecc. le coraggiose minoranze, facendo eleggere l’esule Pelikan al Parlamento Europeo, sostenendo Walesa a Varsavia (non è un caso, tra l’altro, che l’avvento di un grande Papa polacco abbia decisamente influito sulla fine del comunismo), così come aveva aiutato i profughi delle dittature cilene, argentine, greche.

Aveva posto il Psi nell’area del liberalsocialismo introducendo modernizzazioni e innovazioni che saranno poi applicate anche da Tony Blair nel Labour. Nel Paese e al governo, aveva chiesto uno sforzo per la Grande riforma delle istituzioni, per il Presidenzialismo, il superamento del bicameralismo, la meta del federalismo (siamo ancora lì…) garantendo la stabilità e imponendo la sua forte personalità, anche in politica estera. Maturava intanto una sempre più forte ostilità dei post-berlingueriani, ormai finiti nelle secche di un giustizialismo un tanto al chilo, subalterni a Scalfari.

La fine del comunismo doveva metterli in crisi, e invece fu mani pulite e il dipietrismo, la giustizia selettiva e il clima infame, che li salvò. Chi come me ha vissuto la scena impressionante e vergognosa delle monetine contro Craxi nell’aprile del ’93, ha capito bene cosa significhino parole come linciaggio, persecuzuione, odio ad personam. Parole che si sentono ancor oggi dalle parti di Piazza Duomo.

Craxi fu lasciato solo, anche nel suo partito, parlò coraggiosamente in Parlamento dei costi della politica e il silenzo assordante che ne seguì, segnò una delle pagine più buie della politica.

Aveva un’idea forte della politica. L’esilio fu una strada obbligata davanti al linciaggio e a una giustizia politicizzata che distrusse la Prima Repubblica sotto le insegne di una falsa rivoluzione, come spesso la chiamava.
Dall’amarezza dell’esilio, fino a pochi giorni dalla morte, visitato dall’amico Francesco Cossiga, difese la sua figura, il suo ruolo, la sua storia. Mise in guardia sulla fine dei partiti, sull’avvento dell’antipolitica, sulla subalternità della politica ai poteri forti.

L’attualità di Craxi è anche questa: di profeta disarmato e esiliato. La sua abilitazione è come un atto dovuto. Dieci anni dopo…