Tra pochi giorni – venerdì – gli italiani avranno la certezza di essere governati da uno dei peggiori delinquenti del mondo. Quando a Torino deporranno i fratelli Graviano nella solenne scenografia di un’aula giudiziaria e all’affamata presenza della stampa internazionale qualsiasi cosa dicano per Berlusconi e Dell’Utri non c’è scampo.
Se i boss mafiosi confermano le dichiarazioni di Spatuzza significa che il pentito ha detto la verità sull’accordo mafia-Berlusconi, se lo smentiscono va bene lo stesso: a maggior ragione è la prova che la mafia “copre” Berlusconi e l’imputato. Nell’imminenza di questa scontata verità sono andati in scena il “No B day”, la capitolazione del Pd versione Bersani che vi partecipa e il presidente della Camera che si scalda i muscoli.
La gaffe di Fini, cavalcata da Repubblica, ha costretto il cofondatore del Pdl a una marcia indietro e ad atteggiarsi a “bravo ragazzo” che ha solo più senso dello Stato rispetto all’”anomalo” Berlusconi ed al “barbaro” Bossi.
A Berlusconi conviene sfruttare questo momento di difficoltà del rivale per “incassare” un contingente appoggio a qualche contromisura, ma è indubbio che l’ex leader di An punti ad ascendere attraverso un rovesciamento brutale del capo del governo.
Nella crisi innescata nei giorni scorsi dal “fuori onda” di Gianfranco Fini confluiscono infatti tre ordini di problemi che vanno considerati distintamente prima di procedere a una somma conclusiva. La prima questione riguarda il crescendo scandalistico dei vari tipi di intercettazioni audio-video clandestine che stanno invadendo e inquinando la vita politica. Lo scandalismo ha assunto un ruolo di primo piano nel determinare gli sviluppi politici: dalle candidature alle alleanze.
Sempre più si vive di “scosse” ed è alle “scosse” che è demandato lo scioglimento dei nodi della vita italiana. Il risultato è quello di vedere una classe dirigente nazionale in una sorta di impotente stato di attesa di colpi di scena annunciati. Non è una situazione nuova, ma di certo nel contesto di una “seconda repubblica” che stenta a stabilizzarsi tutto ciò si traduce – soprattutto nel campo dell’opposizione – in una disabitudine alla lotta politica: cresce cioè lo scetticismo nel ritenere il Parlamento protagonista della governabilità del paese.
Con l’elezione di Bersani affiancato da Enrico Letta si credeva che si potesse voltare pagina rispetto all’estremismo giustizialista e rilanciare il primato dell’iniziativa politica, ma nel momento in cui Di Pietro gioca la carta della “piazza” il Pd non è in grado di reggere la sfida e si accoda al vociare rissoso.
La seconda questione è il sistematico ripetersi della contestazione di Silvio Berlusconi da parte del leader di una componente della maggioranza. Tutto sommato da quindici anni siamo di fronte alla stessa scena. L’inizio della contestazione della leadership berlusconiana all’indomani del voto – prima Umberto Bossi, poi Pier Ferdinando Casini e ora Gianfranco Fini – sempre con identici argomenti: un padrone, un monarca, un primo ministro non rispettoso dei magistrati che lo accusano.
Siamo così alla terza questione: agitazione extraparlamentare e spaccatura della maggioranza sono infatti la conseguenza di un’ondata giudiziaria che dovrebbe segnare la fine di Berlusconi, del suo partito, della sua maggioranza. Ma ogni volta le accuse sono sempre più gravi: dal falso in bilancio siamo arrivati alle stragi di mafia. Dopo “la piazza” tocca al tribunale chiudere il cerchio dei contropoteri in alternativa al governo. Nel “fuori onda” in particolare da un lato si parla di un avviso di garanzia come se fosse un abito da confezionare su misura e dall’altro si sbagliano inchieste e pentiti facendo confusione tra Spatuzza e Ciancimino.
Sentire un’alta carica dello Stato e un alto magistrato confondere l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia con quella sugli attentati compiuti nel ’93 deridendo il capo del governo e coinvolgendo il vicepresidente del Csm mentre assistono alla commemorazione di un magistrato assassinato dalla mafia fotografa il magma dell’attuale alternativa extraparlamentare.
Si arriva così alla conclusione. In che cosa consiste l’anomalia italiana? E’ Berlusconi che per la terza volta ha vinto le elezioni o è il conglomerato che non accetta il verdetto elettorale e vuole impedirgli di governare? Poco importa, al punto in cui siamo, la risposta.
La somma conclusiva è che in tal modo si è arrivati a spaccare il paese in due campi contrapposti in cui ognuno grida al colpo di stato e accusa l’antagonista di essere un’associazione a delinquere.
Certamente la via d’uscita migliore sarebbe quella del ritorno di ognuno a svolgere il proprio ruolo: di governo, di opposizione, di garanzia. Ma è ancora possibile? Oppositori disabituati alla lotta politica, inquirenti disabituati all’autodisciplina, uomini di governo che vedono complotti dappertutto. Esiste soprattutto un partito del disordine che messo alle strette dalla crisi economica spera di rovesciare il tavolo della vita nazionale per non pagare le perdite contratte in anni di giochi d’azzardo.