C’è la sensazione che le “rivelazioni” di Spatuzza non siano poi la famosa bomba atomica di cui ragionava il presidente della Camera nell’altrettanto famoso “fuori onda” con un pubblico ministero. Troppo vaghe, per ora, e poco argomentate, per colpire davvero nella direzione voluta, cioè indebolire Berlusconi in modo decisivo.
Più in generale, c’è anche la sensazione che la normativa sui pentiti lasci una discrezionalità molto ampia (forse, eccessivamente ampia) a chi li gestisce, anche sotto il profilo del rispetto dei tempi entro i quali le dichiarazioni devono essere rese.
Il termine di sei mesi dal “pentimento” sembra funzionare come un elastico, a disposizione di chi lo sa tirare di più: se entro i famosi sei mesi io dico che farò dichiarazioni sui rapporti mafia-politica, ma mi limito a enunciare una sorta di generico “sommario” di quel che voglio dire, sono poi autorizzato a “riempire” i capitoli del sommario anche a distanza di anni? Qualche dubbio è più che lecito. Non necessariamente, però, questi dubbi si tradurranno in proposte di modifica della legislazione in materia. L’agenda relativa ai rapporti tra politica e giustizia appare già troppo densa di cose importanti per complicarla ulteriormente. Il fatto nuovo di questi giorni è semmai l’esplicita affermazione – contenuta nella mozione sulle riforme approvata dal Pdl al Senato – della necessità di riforme costituzionali anche sulla giustizia, oltre che sulla forma di governo.
Dal Pd sono venute, a seguire, caute aperture: se il Pdl rinuncia al disegno di legge sul “processo breve”, visto in realtà come un intervento devastante sul processo penale in nome degli interessi del premier, si potrà ragionare, pare, anche su ritocchi costituzionali alle norme sui rapporti tra potere politico e giudiziario. Ma ancora non sembra trovata una strada precisa: sul tappeto figurano un lodo Alfano-ter adottato questa volta con legge costituzionale, ma anche leggi ordinarie-ponte che, in attesa dell’approvazione di questa modifica costituzionale, consentano di fermare subito i processi al premier.
Qui ci si può sbizzarrire: dal cosiddetto lodo Casini (un legittimo impedimento assoluto, relativo al solo presidente del Consiglio), all’ipotesi di uno scudo provvisorio (cioè un rinnovato lodo Alfano adottato di nuovo con legge ordinaria, ma esplicitamente temporaneo, cioè in attesa della modifica costituzionale).
Il problema è di volontà politica: il Governo dovrebbe dire chiaramente quale strada intende intraprendere, tenendo conto dell’intenzione del Pd di discutere unicamente proposte di riforma ampie, che non si concentrino solo sui problemi giudiziari di Berlusconi.
In buona sostanza: per consentire al Pd un’interlocuzione reale, un lodo Alfano costituzionale dovrebbe essere “annacquato” entro un progetto di revisione più generale relativo ai rapporti politica-giustizia.
In teoria, i tempi tecnici per portare a compimento in questa legislatura una revisione costituzionale ci sono ancora. Ma ci vorrebbe un’iniziativa politica chiara, sostenuta da un progetto di qualità: per limitarsi ai capitoli più noti, il progetto dovrebbe riguardare la riforma del Consiglio superiore della magistratura, l’introduzione di forme di responsabilità incisive per i magistrati (sotto il profilo civile e disciplinare), alcune precisazioni sull’obbligatorietà dell’azione penale e sui rapporti tra pm e polizia giudiziaria, l’introduzione della separazione delle carriere.
Solo entro un quadro complessivo del genere, sembra, potrebbe iscriversi la questione dello “scudo” per le alte cariche (ovvero una reintroduzione di forme ragionevoli di immunità parlamentare). Il fatto è che si naviga tuttora a vista e il tempo trascorre inesorabile.