Procede fra molte tensioni il cammino del ddl Calabrò in materia di “fine vita”. In particolare il dibattito, oltre che sulle divisioni politiche all’interno di entrambi gli schieramenti, si gioca sul problema della costituzionalità stessa del disegno. Tanto che ieri la Commissione Affari costituzionali ha rinviato a giovedì 3 marzo il proprio giudizio in merito.



Tuttavia lo scontro tra i sostenitori del disegno di Legge e i suoi detrattori è destinato a non placarsi. Nei giorni scorsi aveva speso parole a favore di una regolamentazione legislativa sul “Fine Vita” anche il Presidente della Conferenza Episcopale, Card. Bagnasco, auspicio che trova assolutamente «D’accordo» anche Cesare Mirabelli, giurista e presidente emerito della Corte Costituzionale, che, raggiunto da ilsussidiario.net, ci aiuta a comprendere quali sono i nodi principali in materia di costituzionalità del disegno di legge della maggioranza.



 

Presidente, ci spiega come mai il ddl Calabrò sembra suscitare tutti questi dubbi di costituzionalità? Quali sono i punti critici da questo punto di vista?

 

Il nodo che forse può essere oggetto di discussione è la portata dell’articolo 32 della Costituzione, nella parte in cui prevede che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per legge. Il problema è ‘interprestazione di questa disposizione sia in se stessa che nel contesto della Costituzione. L’articolo 32 protegge anzitutto la salute, anzi impegna la Repubblica, e quindi tutte le sue articolazioni, a tutelarla come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Cosa significa questo? Anzitutto che la tutela della salute, logicamente, presuppone la tutela della vita e che la tutela della salute è un diritto della persona, ma anche un interesse della collettività. Tutti i diritti della persona hanno anche una proiezione nella comunità.



 

Ci può spiegare meglio questo concetto?

 

Il diritto alla salute non è visto in un’ottica esclusivamente individualistica, anche se si tratta di diritti fondamentali dell’individuo. Il divieto di trattamenti sanitari obbligatori, se non in base alla legge e per un interesse collettivo, è il secondo passaggio da tenere presente. Questo divieto si oppone alla tragica esperienza fatta del dominio sulla persona, usata talvolta come “cavia” inconsapevole per sperimentazioni mediche. E’ evidente che occorra il consenso della persona per i trattamenti sanitari, ma sempre nell’alveo di un rapporto tra medico e paziente, cioè all’interno di quella che viene definita una “alleanza terapeutica” a difesa della salute.

 

Alcuni giuristi hanno sottolineato il fatto che il ddl Calabrò, occupandosi di normare di fatto questa “alleanza terapeutica” non andrebbe ad intaccare le libertà individuali. Ci chiarisce il rapporto tra la legge e le libertà individuali nell’alveo dell’ “alleanza terapeutica”?

 

Un trattamento sanitario per sua natura richiede l’intervento di tipo medico, quindi una particolare competenza, ed è destinato a tutelare la salute della persona: non ci può essere una distorsione in questo. L’intervento del medico è sempre frutto di un dialogo continuo con il paziente, nei limiti in cui ci sia una “competenza conoscitiva” anche da parte dello stesso paziente: il fondamento della libertà di scelta della terapia, che va assicurata, è il consenso informato.

 

Perché è importante questo principio?

 

Il principio del consenso informato è fondamentale, proprio perché la persona valuti nel momento in cui la terapia si pone se accettarla in base alle opportunità che gli si presentano ed a mettere al corrente dei possibili rischi. Non è una scelta solitaria, della quale il medico è puro strumento esecutore. E’ una scelta tecnicamente assistita e in qualche modo anche orientata dal rapporto con il medico. Il punto critico è quando questo dialogo non è possibile per le condizioni della persona.

 

In quel caso?

 

In quel caso è assi dubbio che ci possa essere una dichiarazione anticipata assolutamente vincolante, perché manca un’attualità di valutazione da parte della persona, che è uno dei presupposti del consenso informato e allora l’indicazione della persona può essere in qualche modo orientativa, ma non conclusiva. Il medico opera nel rispetto della persona, secondo scienza e coscienza, a tutela della salute e salvaguardia della vita.

 

La figura del tutore come si colloca in questo contesto?

 

Ma il tutore come può intervenire in un ambito che è personalissimo? E’ un diritto individuale nel quale altri non possono surrogare le proprie scelte.

 

Lei ritiene che questo sia avvenuto nel caso di Eluana Englaro?

 

Nel caso di Eluana Englaro c’è da dubitare fortemente che possa ritenersi esistente un consenso informato. La presunta volontà è stata dedotta da elementi indizianti, in un certo senso, o da dichiarazioni generiche. E’ lecito dubitare che ci fosse un consenso e tanto più un consenso informato, che presuppone l’attualità e la completezza delle informazioni.

 

Cosa che invece è alla base di una legge sul testamento biologico…

 

E’ alla base del rifiuto o dell’accettazione delle terapie che si offrono, e quindi dell’alleanza terapeutica, cioè del rapporto tra paziente e medico.

 

Presidente ci spiega come mai nel ddl Calabrò è possibile inserire nelle dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT) il fatto di non voler essere attaccati a un ventilatore ma non di non voler essere idratati e alimentati?

 

Probabilmente tutto si gioca su una ulteriore distinzione: alimentazione e idratazione non sono considerate trattamento sanitario inteso come terapia, ma come sostegno vitale, che comunque non può essere escluso.

 

Per motivi opposti i senatori Marino e Veronesi, da un lato, e Pisanu dall’altro ritengono che una legge, e questa legge in particolare (nel caso di Veronesi e Marino) non sia necessaria per motivi di incostituzionalità che sono però diametralmente opposti. Lei cosa pensa in merito a questo?

 

Queste valutazioni potrebbero essere influenzate da una valutazione politica, per chi ritiene che le soluzioni offerte dal testo in discussione non siano conformate alle proprie scelte. Mi pare, del resto, che fra chi ora non ritiene necessaria la legge ci sia chi in precedenza ne ha proposta una, ritenendo quindi quanto meno opportuna una soluzione legislativa.

 

Lei pensa che le sentenze della magistratura sul caso Englaro abbiano reso invece necessaria una legge o piuttosto siano riprova che la legge non serve?

 

La sentenza cardine è quella della Cassazione, che ha stabilito in linea di principio le condizioni in cui si può arrivare a sospensione alimentazione e idratazione. Ma lo ha fatto chiaramente per l’assenza di una disciplina normativa: non sottrae al legislatore la possibilità di legiferare. Anzi, è stato proprio questo l’elemento alla base della decisione di non considerare ammissibile del conflitto di attribuzione promosso dal Parlamento. La decisione della Corte costituzionale di inammissibilità del conflitto rimarca il fatto che il legislatore può – ripeto – legiferare su questa materia anche in presenza di una sentenza della Cassazione: questa non toglie al legislatore capacità di disciplinare su questa materia, anche perché ogni sentenza non ha portata generale. In questa situazione è opportuno che il legislatore assuma le sue responsabilità in quanto rappresentativo della sovranità popolare (in modo certamente in linea con la Costituzione, cioè garantendo i diritti fondamentali) ma il problema qui è capire qual è il contenuto di questi diritti fondamentali, cioè se ci può essere un abbandono della persona, se i diritti e la libertà della persona sono tali da giungere sino ad un diritto al suicidio assistito, perché alla fine si potrebbe arrivare a questo esito.

 

Si sono alzati i toni sul fatto che la commissione Affari Costituzionali potrebbe sollevare questi dubbi di costituzionalità in merito al ddl Calabrò. Lei che ne pensa?

 

La commissione esprime un parere all’interno del procedimento legislativo e non toglie gli eventuali problemi di costituzionalità che possono essere successivamente prospettati. L’approfondimento sui principi costituzionali a garanzia della persona in stato di debolezza è sempre positiva, non mi pare ci sia da preoccuparsi dei tempi di riflessione della commissione.

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