Presidente Violante, a pochi giorni dall’insediamento di Franceschini il Pd è tornato a dividersi sul tema del testamento biologico, soprattutto per la presa di posizione di Rutelli. Cambia il segretario, ma i problemi restano gli stessi?

La posizione di Rutelli non è nuova. Ci sono poi opinioni discordanti anche dentro il centrodestra: cattolici, come Pisanu, e radicali, come Della Vedova,  hanno opinioni dissenzienti riguardo al testo presentato dalla stessa maggioranza. I senatori PDL Saro e Malan hanno firmato la proposta Marino Finocchiaro. Quindi non stiamo parlando di un problema specifico del Partito Democratico. È il tema in sé che sollecita più le appartenenze culturali, filosofiche e religiose, che non quelle politiche.



Questo può andare bene sul tema contingente; però rimane il problema di fondo del difficile rapporto tra le due anime del partito (ex-Margherita e ex-Ds). Come uscirne?

Indubbiamente ci sono problemi legati al fatto che si arriva da due partiti diversi. Dobbiamo verificare se la prospettiva riformatrice democratica sia sufficiente per tenere insieme queste due storie politiche. Non dimentichiamo però che, se osserviamo attentamente la base del partito, ci accorgiamo che più della metà di coloro che aderiscono al Pd non provengono né dalla Margherita né dai Ds. Già oggi le differenze si sono annullante su molti temi. È dunque probabile che la questione andrà stemperandosi nel tempo, se si avrà la forza di distinguere i temi di carattere politico, sui quali le decisioni saranno vincolanti per tutti, dai temi sui quali il partito e i gruppi parlamentari, pur esprimendo una propria posizione, possano lasciare la libertà a chi la pensa diversamente di votare in altro modo. La posizione su punti come il welfare, l’economia, la politica estera, le riforme istituzionali, non può essere vincolata alle diverse provenienze; ma su questioni che attengono alla vita o la morte deve essere riconosciuta piena legittimità di visioni diverse.



Pare di capire che sia ancora necessario fare chiarezza su questi punti essenziali e irrinunciabili per il Pd. Come vi muoverete per riformulare il progetto culturale del partito?

Penso sia necessaria una riflessione del partito sui suoi riferimenti teorici. Possono avere un ruolo importante anche le Fondazioni, che sono luoghi di elaborazione politica, vicini ma al tempo stesso autonomi rispetto al partito. Io credo che sarebbe utile sollecitare queste Fondazioni ad esprimere un loro punto di vista e a produrre contributi che portino a costruire un sistema di valori unitario, non  l’ennesima carta generale.  Dev’essere la indicazione specifica dei valori ai quali ci ispiriamo nei grandi campi dell’agire politico: in politica estera, in politica economica, in politica delle istituzioni, politica della formazione e della ricerca, politica della sicurezza..



Lei ha già qualche idea in proposito?

Posso parlare dei temi a me più vicini, cioè quelli istituzionali. Un aspetto a mio avviso essenziale riguarda il fatto che  dal Settecento in poi si è sempre parlato della distinzione fra i tre poteri dello Stato: legislativo, esecutivo, giudiziario. Oggi, oltre a questa,  c’è un’altra grande distinzione da fare, quella cioè tra poteri economici, poteri politici e poteri giudiziari. Quali sono e quali dovrebbero essere i rapporti fra questi poteri? Ecco una nuova frontiera della modernità su cui bisogna confrontarsi; una problematica che non  esisteva fino a tutto il Novecento. Ora invece emerge con forza, soprattutto in un periodo di crisi come quello attuale. Bisogna allora chiarire in che modo il partito democratico affronta queste nuove frontiere. Su questo dico che sarebbe utile che anche le Fondazioni, sollecitate dai dirigenti del Pd, facciano maturare idee, teorie; perché senza una svolta teorica non potrà esserci nessuna svolta politica.

Sembra però un po’ strano che non ci si sia posti questo problema al momento della nascita del nuovo partito…

Guardi, il problema di come concepire oggi un partito è  complesso. Verso la fine degli anni Ottanta abbiamo avuto una grande crisi delle appartenenze, e lo scioglimento di quelle appartenenze ha portato o a partiti carismatici, in cui si aderisce per fiducia nel leader (penso a Forza Italia, ma anche a Di Pietro, e in qualche modo anche alla Lega), o a partiti per così dire “gassosi”, come abbiamo rischiato di essere noi. Ora il problema è vedere come si costruisce un partito che riprenda in mano la questione dell’appartenenza (senza che diventi una gabbia come è stato a volte nel Pci e, per aspetti diversi, nella Dc). Appartenere a un partito nel Novecento significava qualcosa, che oggi non c’è più: qual è il significato oggi dell’ appartenenza politica? Bisogna dare una risposta, e bisogna anche discuterne con gli avversari perchè il problema è comune.

Calando queste idee nel concreto: c’è ora la segreteria Franceschini, che ha un ruolo di transizione, e si apre poi con tutta probabilità l’ipotesi Bersani. Che prospettive può dare questa nuova leadership?

Inizio a rispondere con un aneddoto: io ho lavorato molti anni in Sicilia, e ricordo un anziano compagno che in un momento di discussione particolarmente accesa prese la parola e disse: «Smettiamo di giocare al gioco del “fotti-compagno”!». Mi spiego: ora c’è Franceschini che ha avuto un consenso rilevante; ha messo in piedi una buona segreteria, perché coniuga esperienze consolidate e giovani esperienze. Sarebbe veramente singolare, in questa situazione, mettersi a pensare a chi si candiderà alla segreteria ad ottobre: ora c’è Franceschini e va sostenuto, lui e il suo sforzo. E finora ha fatto bene: ha sciolto coordinamento e governo ombra, che erano ostacoli alla costruzione del partito, perché sostituivano al rapporto col territorio la parlamentarizzazione (governo ombra) e alla democrazia interna l’oligarchia (coordinamento). Solo sostenendo l’impegno attuale di Franceschini si costruiscono le basi per fare un buon congresso a ottobre.

C’è poi da valutare anche l’ipotesi di un ritorno alla strategia delle alleanze, dopo il tentativo del Pd di andare (quasi) da solo. Ritorna l’apertura verso Rifondazione; ed è significativo che proprio oggi Vendola dica che ci si può alleare anche con l’Udc… 

La mia opinione è che prima si fanno i progetti, e poi si fanno le alleanze. Io credo, per fare un esempio, che sia necessario dire No al referendum sulla legge Calderoli, referendum che ne potenzia gli aspetti peggiori. Invece bisogna restituire ai cittadini il potere di decidere tornando, con qualche correzione, alla legge elettorale Mattarella. L’attuale legge è una vergogna, perché non solo ha concentrato un eccesso di potere nei gruppi dirigenti dei partiti, ma ha tolto alla società la possibilità di essere rappresentata e, viceversa, ha tolto al parlamento la capacità di essere rappresentativo della società. Chi è eletto oggi, infatti, rappresenta i gruppi dirigenti dei partiti. Su questo tema bisogna vedere chi ci sta. Ecco perché dico che prima si costruiscono alcune strategie, e poi su queste si possono costruire le alleanze. Altrimenti si privilegia il rapporto di potere rispetto alla strategia politica.