Benché le sentenze sul caso Englaro possano indurre a ritenere il contrario, non esiste nel nostro ordinamento alcun principio sul quale fondare legittimamente il ricorso a pratiche eutanasiche, né tanto meno un “diritto alla morte”.

E’ curioso osservare a questo proposito che molti commentatori in genere così attenti a quanto accade al di là dei nostri confini nazionali (e in particolare negli ordinamenti più “avanzati”) puntualmente omettano di ricordare che l’inesistenza di un “diritto alla morte” è stata sancita a chiarissime lettere anche dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella sentenza 29 aprile 2002 (Pretty v. The United Kingdom).



E’ dunque certamente apprezzabile l’attenzione che il disegno di legge di maggioranza attualmente in discussione al Senato sulle tematiche del fine vita, così come il progetto presentato alla Camera dall’onorevole Buttiglione e da altri deputati, pone sulla necessità che la futura legge sia formulata in modo tale da evitare che una normativa che consente l’eutanasia faccia il proprio ingresso nel nostro ordinamento.



Entrambi questi progetti di legge ribadiscono i principi dell’inviolabilità e dell’indisponibilità della vita umana, prevedendo espressamente l’applicazione delle sanzioni penali per i reati di omicidio volontario, di omicidio del consenziente e di istigazione al suicidio ad ogni forma di eutanasia e ad ogni forma di assistenza o di aiuto al suicidio. Il ddl di maggioranza precisa altresì che l’attività medica, in quanto esclusivamente finalizzata alla tutela della vita e della salute, non può in nessun caso essere orientata a cagionare o a consentire la morte del paziente, attraverso la non attivazione o disattivazione di trattamenti sanitari ordinari e proporzionati alla salvaguardia della sua vita.



Ambedue le proposte prevedono la possibilità che vengano rilasciate dichiarazioni anticipate di trattamento in merito ai trattamenti sanitari cui essere sottoposti, a valere in previsione di una eventuale perdita della propria capacità di intendere e volere, con validità temporanea limitata (tre anni nel ddl di maggioranza, due nel progetto Buttiglione). In entrambi i progetti le dichiarazioni anticipate di trattamento non assumono carattere vincolante, sebbene sia previsto in capo ai medici un obbligo di tener conto di esse.

La relazione al ddl di maggioranza precisa che tale impostazione è conforme all’interpretazione della Convenzione di Oviedo fatta propria anche dal Comitato Nazionale di Bioetica nel parere del 18 dicembre 2003. L’articolo 9 della Convenzione di Oviedo prevede infatti che “i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione”.

A proposito di tale previsione, il Rapporto esplicativo della Convenzione ha precisato che “tenere in considerazione i desideri precedentemente espressi non significa che essi debbano essere necessariamente eseguiti.

Per esempio, se i desideri sono stati espressi molto tempo prima dell’intervento e la scienza ha da allora fatto progressi potrebbero esserci le basi per non essere presi in considerazione dal medico. Il medico dovrebbe quindi, per quanto possibile, essere convinto che i desideri del paziente si applicano alla situazione presente e sono ancora validi”.

In ogni caso il ddl di maggioranza prevede che nelle dichiarazioni anticipate di trattamento non possano essere inserite indicazioni finalizzate all’eutanasia, mentre secondo la proposta Buttiglione “le indicazioni proposte dal paziente sono valutate dal medico in scienza e coscienza in applicazione del principio fondamentale della tutela e della salvaguardia della salute e della vita umana”.

Per quanto riguarda l’alimentazione e l’idratazione artificiale, il ddl di maggioranza chiarisce che le stesse “sono forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare la sofferenza”.

Considerazioni analoghe sono contenute nel parere approvato nella seduta plenaria del 30 settembre 2005 del Comitato nazionale per la bioetica, richiamato anche nel recente atto di indirizzo del Ministro Sacconi, nel quale è precisato che la nutrizione e l’idratazione anche artificiali “vanno considerati atti dovuti eticamente (oltre che deontologicamente e giuridicamente) in quanto indispensabili per garantire le condizioni fisiologiche di base per vivere”; coerentemente con tali principi il ddl di maggioranza prevede che le dichiarazioni anticipate di trattamento non possano riguardare l’alimentazione e l’idratazione.

Viceversa la proposta Buttiglione, partendo dal presupposto che nessun trattamento terapeutico può essere imposto, prevede la possibilità che il paziente rifiuti l’installazione, con intervento chirurgico, di ausili tecnici per l’alimentazione e l’idratazione; tuttavia, una volta intervenuta l’installazione di tali ausili, non ne sarebbe consentita la rimozione, atteso che il mero utilizzo degli stessi non costituisce trattamento terapeutico.

Sulle singole previsioni di queste proposte ci sarebbe da approfondire (e anche da discutere).

In ogni caso l’auspicio è che in Parlamento si trovi in tempi brevi un’ampia convergenza su un testo che sappia tradurre adeguatamente i principi fondamentali richiamati nei progetti di legge in esame.

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