La settimana che si apre è destinata a rimanere scolpita nella memoria e a segnare profondamente la vita politica: da un lato il Parlamento – a testa bassa – per approvare una legge, dall’altro una équipe medica – a testa bassa – per arrivare prima a far morire una persona. A livello istituzionale una conclusione comunque traumatica: la sostanziale delegittimazione del Capo dello Stato o del Capo del Governo. Né da venerdì i due protagonisti hanno calmato le acque. Mentre Berlusconi alzava il tiro sulla necessità di modificare la Costituzione, Napolitano anziché ritenere chiuso il contenzioso con l’avvio della procedura parlamentare ha lasciato trasparire il suo dissenso dal contenuto del provvedimento, si è appellato all’appoggio popolare e ha polemizzato sul “monopolio del dolore” (il Vaticano? Il Papa? Berlusconi?).
La conseguenza immediata è che – di fatto – siamo in un regime di repubblica presidenziale o comunque Napolitano ha inaugurato una sorta di “cohabitation” sul modello francese del periodo Mitterrand-Chirac: un governo di centro-destra che si riunisce alla presenza – materiale o cartacea – di un Presidente delle Repubblica precedentemente eletto dall’opposizione con funzione di vigilante tallonamento “in diretta”. Al caso Eluana si aggiunge e si intreccia così il nodo dei poteri dei vertici dello Stato.
La “coabitazione” che è stata formalizzata con la lettera da Napolitano in effetti non è un colpo di scena, ma era ormai latente e crescente da tempo. A partire da “Mani pulite”, sin dal biennio 1992-1994, il Presidente della Repubblica di fronte al cosiddetto “Parlamento delegittimato” assunse un ruolo superiore agli eletti dal popolo e di eccezionale sindacato. Proprio in quegli anni Giorgio Napolitano come Presidente della Camera aveva affiancato Scalfaro nel protocollo di eutanasia del “Parlamento degli inquisiti”. Nella “Seconda Repubblica” – con buona pace di chi oggi si erge a difensore della Carta costituzionale – il Quirinale ha assunto un ruolo non sempre previsto dalla Costituzione ed è andato ampliando notevolmente discrezionalità ed interventismo. È nato ed è stato imposto un vero e proprio “culto della personalità” del Presidente di turno che non ha precedenti all’epoca di Gronchi, Saragat, Leone, Pertini e Cossiga che furono sempre sottoposti ad un’attenzione critica. Dal 1992 invece, a cominciare dai principali organi di informazione, il Quirinale è una sorta di “Super Io” che sovrintende all’attività governativa e parlamentare.
Abbiamo così da un lato il “paese legale” con governo e Parlamento che vogliono votare e dall’altro il “paese reale” dove nel solidarizzare con Napolitano si arriva a paragonare il Vaticano all’Unione Sovietica, bollando il governo come un fantoccio che tiene gli italiani in un regime “a sovranità limitata”. Che bisogno c’era di un clima da Breccia di Porta Pia proprio quando era iniziato un confronto positivo con intese dalla legge elettorale alla Rai, dal federalismo alla giustizia?
Rimane da tirare le somme di questa “coabitazione” ormai instaurata ed irreversibile fino a che il nodo non sarà sciolto con una chiara indicazione costituzionale.
Da un lato c’è un Silvio Berlusconi che non è interessato a fare l’amministratore di condominio tra “nani e ballerine”, ma pone al centro dello scontro politico – a costo dell’uscita di scena – questioni di fondo a cominciare dalla vita umana e – già che c’è – sfrutta Napolitano per incardinare lo prospettiva del presidenzialismo. Sin dalla formazione del governo nel centro-destra si trascinava un “vulnus” nei confronti dell’area ex democristiana non risolvibile con cooptazioni personali. Ora, proprio alla vigilia della fondazione del Pdl, il nuovo partito nasce senza distinzioni tra laici e cattolici nel quadro di una non contrattata ma spontanea e operante solidarietà che va da Sacconi a Formigoni in cui la mobilitazione cattolica è, appunto, fondamentale. Conseguenza: le furbizie di Bossi e le ambizioni di Fini diventano ruote sgonfie e si va a un voto parlamentare in cui Berlusconi perde qualche caso di coscienza personale, ma ha il voto convinto di tutta l’Udc di Casini con la spaccatura del Partito democratico.
Da parte sua Walter Veltroni, almeno nell’immediato, si rafforza: può condurre in porto le trattative che lo interessano maggiormente senza essere accusato di “inciucio” e, all’ombra del Quirinale, si ripropone agli occhi dell’opinione pubblica (e del Pd) come il principale antagonista del governo e il più fedele interprete del Presidente della Repubblica contenendo così l’erosione della sinistra antagonista e del dipietrismo che proprio in queste settimane avevano messo sotto accusa Napolitano e Veltroni.