La proposta lanciata da Dario Franceschini, segretario del Partito Democratico, di un assegno mensile da destinare a coloro che restano senza lavoro in questa fase di crisi non ha trovato appeal nella maggioranza. Il Governo infatti si muove su una strada differente e per meglio capire quali sono le iniziative messe in campo dalla maggioranza per affrontare il problema dei disoccupati abbiamo interpellato Giuliano Cazzola, vicepresidente della Commissione Lavoro alla Camera dei deputati.
Onorevole Cazzola, cosa pensa della proposta di Dario Franceschini riguardante l’assegno mensile di disoccupazione?
Confesso che mi ha colpito il clamore suscitato dalla proposta. Come ha rilevato anche il sen. Nicola Rossi nella proposta c’è ben poco di nuovo. Da mesi gli esponenti del Pd suggeriscono soluzioni simili a quella di Franceschini, senza che nessuno se ne accorga. Poi all’improvviso (per caso o in conseguenza di una precisa scelta?) una proposta avanzata centinaia di volte guadagna le aperture dei quotidiani e finisce nei tg. A me non piace prendermela con la stampa, ma i processi sono evidenti e sotto gli occhi di tutti. Franceschini parla a Bari, qualche tg spara la notizia, si mette in moto l’effetto imitativo che trasforma una sparata alla luna in una notizia. Persino quelli del Pd sono rimasti sorpresi del successo ottenuto, tanto da essere costretti a mettere in evidenza l’assoluta impreparazione con cui avevano confezionato questa proposta. Impreparazione e improvvisazione che si è manifestata quando hanno dovuto immaginare dei costi (i 5 miliardi sono assolutamente esagerati) e delle coperture (si ricorre all’evasione fiscale quando si vuole parlare d’altro).
Come giudica l’atteggiamento del Governo?
Imbarazzato, al di là delle reazioni immediate. Ogni volta che si pone un problema con un forte contenuto tecnico il Governo va in crisi. Il punto e mezzo di Pil evocato da Berlusconi non esiste. Poi alla fine Tremonti ha dovuto inventarsi un «gruzzoletto». Il governo non riesce a presentare all’opinione pubblica quanto sta facendo sul terreno degli ammortizzatori sociali. Prendiamo il caso degli ammortizzatori in deroga: insieme alle Regioni il Governo ha stanziato, su base annua, risorse pari a 10 volte quelle del 2007. Poi per la prima volta nel decreto anticrisi è stata prevista una indennità una tantum per i collaboratori in condizione di monocommittenza che perdono il lavoro. Ma si può fare qualche cosa di più.
In che modo?
Se avesse un po’ di coraggio politico, il Governo avrebbe davanti a sé un’autostrada. Un nuovo intervento sul sistema pensionistico che affrontasse – per tutto il mondo del lavoro dipendente e indipendente – alcuni nodi tuttora irrisolti (come l’elevazione dell’età pensionabile di vecchiaia delle lavoratrici) e rendesse più rigorose le regole del trattamento d’anzianità (combinando un blocco temporaneo delle finestre con una revisione del marchingegno “quote+scalini”), potrebbe aprire una concreta prospettiva a un riordino degli ammortizzatori sociali in grado di ricomprendere i lavoratori ora privi di ogni tutela. Ma le misure evocate (che recherebbero – su base annua – risparmi per 3,4 miliardi) non sono – purtroppo – nell’agenda del Governo, eccezion fatta – grazie alla sentenza dell’Alta Corte di Giustizia – per l’equiparazione, tra uomini e donne, dell’età di vecchiaia nel pubblico impiego.
Lei intravede altre possibilità magari meno impegnative e rischiose sul piano politico?
Dio sta nelle cose difficili. Ma la legislatura è lunga e il Governo ha pur sempre in diritto di compiere le scelte tattiche che crede. Qualche suggerimento si può dare. Per triplicare l’attuale fabbisogno di circa 300 milioni l’anno basterebbe agire in tre direzioni: due nell’ambito della Gestione separata presso l’Inps (dove sono iscritti i c.d. lavoratori parasubordinati); la terza spulciando tra i conti della legge n.247/2007 (il provvedimento che ha recepito il protocollo del luglio di quello stesso anno). Quanto alla Gestione separata, in una visione solidaristica all’interno della stessa categoria, si potrebbe anticipare all’anno in corso un incremento dell’aliquota contributiva pari alla metà di quanto previsto per il 2010 (i collaboratori passerebbero, così, al 25,5% da subito più lo 0,72% per le altre voci), destinando le risorse aggiuntive al pacchetto disoccupazione.
Si potrebbe fare di più?
Certamente. Per implementare il gettito si potrebbero elevare, dall’attuale 17% al 20%, le aliquote delle altre categorie di iscritti alla gestione (i pensionati che continuano a lavorare con un rapporto di collaborazione e le persone coperte da altro regime di previdenza obbligatoria). La combinazione di queste misure darebbe, da subito, un gettito di altri 300-350 milioni. Infine, nell’ambito della legge n.247 del 2007, vi sono risorse stanziate – per i lavori usuranti, ad esempio – che non sono state spese. Si tratta anche in questo caso di circa 300 milioni. In sostanza, tra le somme già stanziate e quelle proposte si arriverebbe, già nel 2009, a disporre di circa 900 milioni di euro.