Il tema delle tutele ai lavoratori precari (segnatamente i co.co.pro.) sembra avere preso il centro della scena politica italiana. Le ragioni ci sono tutte, dal momento che questa categoria di lavoratori rischia di pagare il prezzo più salato della crisi recessiva.

Bene dunque che si parli di quei 500mila lavoratori che rischiano di trovarsi senza stipendio alla scadenza naturale del proprio contratto, senza che vi siano prospettive occupazionali alternative.



A questi lavoratori pensava Dario Franceschini, proponendo l’allargamento dell’assegno di disoccupazione anche a questi lavoratori. Una proposta-choc, costruita per scaldare i cuori dei militanti ma viziata da un elevatissimo tasso di demagogia, essendo sostanzialmente irrealizzabile per i volumi finanziari che verrebbero richiesti. In più, si tratta di una proposta viziata da un velenoso retrogusto assistenziale, per effetto del suo indistinto universalismo (diamo qualcosa a tutti) e per l’assenza di un adeguato contraltare in termine di politiche attive del lavoro.



La risposta del governo, che già aveva annunciato a febbraio un intervento da 8 miliardi sul tema, non è tardata: sarebbero pronti altri 10-12 miliardi, finalizzabili ai co.co.pro. monocommittenti a reddito basso. Si tratta di una proposta più solida, sia perché capace di individuare un target a sicuro rischio (non avrebbe senso estendere gli ammortizzatori a chi avesse multicommittenze capaci di sostenere la cessazione di un singolo contratto), sia perché probabilmente sposata con l’affiancamento di misure di orientamento e formazione professionali, utili alla persona e come leva economica generale.



Resta aperto in ogni caso il problema di una riforma strutturale degli ammortizzatori, capace di cogliere la profonda rivoluzione che il mercato del lavoro italiano ha vissuto in questi ultimi lustri. La corsa ai ripari sul fronte dei precari non può nascondere il fatto che su questo tema si scontino decenni di immobilismo, fatta salva ripresa di vigore di forme bilaterali tra imprese e sindacati che hanno in qualche modo tamponato le falle. Proprio in un tempo di crisi appare necessario intervenire radicalmente su questo tema, smontando un sistema obsoleto centrato sul modello del lavoratore a tempo intedeterminato occupato in imprese di dimensioni medie e grandi.

È il momento di immaginare un sistema mobile, che tenga conto (come già avvenuto ad esempio per il sistema pensionistico grazie al sistema del cumulo contributivo) della trasformazione del lavoro in un percorso complesso, fatto di tappe non sempre lineari. La strada più realistica potrebbe essere quella di introdurre elementi assicurativi a compartecipazione pubblica, strumenti per natura flessibili e capaci di seguire la persona nelle sue alterne vicende lavorative, garantendo reddito nei periodi di difficoltà.