Bisogna ringraziare il Ministro dell’Uguaglianza, Bibiana Aído, perché lo scorso fine settimana è stata limpida. Le sue dichiarazioni all’agenzia Europa Press hanno fatto chiaramente vedere cosa sta al fondo della riforma dell’aborto e perché è lei a guidarne il cambiamento e non il Ministro della Sanità.
Il Ministro invia già segnali sul fatto che l’aborto senza il consenso dei genitori a 16 anni, raccomandato dal Congresso e dagli esperti, può non essere approvato. Si avrebbe alla fine un’immagine moderata, tra quelli che Aído ha chiamato «fondamentalisti di sinistra e di destra». Ma quello che non cambia è il “carattere pedagogico” della riforma, l’obiettivo di creare una mentalità in cui l’aborto diventa un diritto. L’aborto, ha spiegato il Ministro, è un «conflitto di interessi tra la madre e il bambino non nato».
Il periodo di 22 settimane, il periodo della possibilità di vita del feto, segna il confine. Fino a quel momento, spiega il Ministro, «prevarrà il diritto della donna e, a partire da questa possibilità di vita del feto, il diritto del non nato». Non si pone una discussione scientifica su dove c’è una persona o smette di esserci.
Lo Stato definisce un nuovo diritto perché la donna si concepisca in altro modo, perché veda in maniera diversa la relazione con il figlio che porta in grembo e perché noi tutti la si intenda in un altro modo. Trasformando l’aborto in un diritto, la vecchia pretesa dello Stato di invadere tutto raggiunge la sua vetta, la vecchia intenzione di ridefinire, in funzione degli interessi del potere, esperienze, bisogni e perfino i sentimenti degli uomini, arriva in una sfera in cui non era mai arrivata prima.
Gli aborti, per sfortuna, ci sono sempre stati. Mai finora però lo Stato aveva preteso di dire alla donna come intendere se stessa e il figlio che porta in grembo. Non aveva preteso di definire e di appropriarsi del dolore, se avviene la tragedia, per il figlio perduto. Lo Stato pretende, in nome di un’ideologia femminista che sopprime violentemente la ricchezza della differenza, di espropriare la maternità.
L’esperienza della vita che cresce, così necessaria agli uomini e alle donne nella società del XXI secolo, sorprende e va oltre il desiderio, anche attraverso la sofferenza, quando non è rinchiusa nei calcoli e nelle misure che le imponiamo. Questa semplice evidenza del fatto che la vita è Mistero e che si dispiega in tutta la sua ricchezza quando le si dice sì. Trasformando la morte in un diritto, è come se si gettasse un manto freddo e oscuro sopra questa possibilità.