«Il grande compito del Pdl, anche in ragione del grande consenso popolare di cui dispone, è costruire l’Italia del futuro. Uscendo dalla logica del quotidiano, del giorno per giorno, e andando verso una fase più strategica. Anche perché in Europa e in Italia, vista la crisi e visti i problemi legati all’immigrazione, sta cambiando quasi tutto. E un grande partito deve saper rispondere ai tempi»: apro la mia replica alla – come sempre – analisi critica che su questo quotidiano Luca Pesenti ha dedicato al discorso in cui domenica scorsa Gianfranco Fini ha offerto a militanti, giornalisti e opinione pubblica la sua visione futura del Popolo della Libertà.
Fa piacere constatare che Pesenti, come del resto moltissimi altri, colga nelle parole finiane lo sforzo di elevarsi al di sopra della politica come merce contingente e biodegradabile nelle meccaniche del potere.
Mi sforzo di riassumere: i timori di Pesenti sono tutti concentrati nella scelta di Fini di indicare l’“etica repubblicana”, assieme all’“amor di Patria”, come fondamento e riferimento morale della politica e della cittadinanza. Combinato con la definizione di una «rigorosa separazione» tra l’elemento politico e l’elemento religioso, questo orizzonte etico può, a giudizio di Pesenti, scivolare in una pericolosa deriva se non proprio laicista, relativista e secolarizzata. Inoltre, e qui cito Pesenti per intero, a suo giudizio se «l’inserimento del principio di sussidiarietà orizzontale tra i valori fondanti del futuro partito unitario del centro-destra, logica conseguenza di quel primato della persona che Fini ha posto al primo punto del suo discorso, sposta l’asse dello spazio pubblico dallo Stato alla società, dal civico al civile», questo mal si concilia tanto con la ri-definizione dello Stato come attore politico centrale quanto con il repubblicanesimo come agire etico pratico.
Mi permetto, a mia volta, di replicare alle critiche – peraltro ben argomentate – di Pesenti, e provo a farlo schematicamente per punti.
1) L’etica repubblicana discende da una differente visione della nazione e dell’identità nazionale che, da elemento etnico-storico, diventa sulla scorta di Renan una visione a tendere, o meglio il combinato tra l’elemento della memoria, che ci sceglie, e quello del progetto per il futuro, che scegliamo come orizzonte comunitario.
L’etica repubblicana è l’insieme di valori, simboli, regole, codici che producono, conservano e vivificano quotidianamente l’ethos nazionale. Il valore della dignità della persona, intrisa di diritti civili e individuali ma strutturata nelle appartenenze comunitarie, è un tassello fondamentale di questa visione. L’etica repubblicana non nega l’elemento religioso ma, riconoscendo la valenza pubblica (e non politica), lo contestualizza in un’ottica politicamente non conflittuale, in questo senso: nella comunità politica, è l’etica repubblicana, e non la fede religiosa, il principio ordinatore. Ed è un’etica inclusiva, aperta a una dimensione della cittadinanza fondata su un concetto aperto e futuribile di nazione, una nazione – chiariamo – multietnica e multireligiosa ma non multiculturale, almeno dal punto di vista della cultura civica intesa come orientamento positivo dei cittadini nei confronti dell’autorità e delle istituzioni politiche: ecco perché, ma è una mia valutazione e Fini non c’entra, la scuola ha il dovere di distribuire sapere e “forgiare” cittadini.
2) E veniamo allo Stato. Qui cito un agile saggio dove Carlo Galli spiega come lo Stato, che ha impoverito la sua funzione nell’ordine internazionale, continua a detenere il monopolio legittimo della forza ed essere il punto di connessione delle (oggi decisive) politiche di welfare. E lo Stato non è più un principio etico ma ha bisogno, per essere legittimato, di un’etica della cittadinanza, quella cultura civica di cui l’Italia, cresciuta nella paradossale sovrabbondanza di uno Stato delegittimato, continua a subire la paurosa assenza in intere zone del Paese. Lo statalismo è nemico dell’autorità statale…
3) … e questo non entra in collisione con la sussidiarietà orizzontale. Se lo Stato, legittimato e vivificato dall’etica repubblicana, si ritira dai presidi nel sistema sociale che esulano dai compiti di ordine politico dello Stato. In questa dimensione il “ritorno dello Stato” attraverso la nuova etica repubblicana, e la sussidiarietà orizzontale, non solo non confliggono, ma il primo è la precondizione della seconda. E difatti Fini ha legato la sussidiarietà, la giustizia sociale e l’economia sociale di mercato come risposta alla crisi del liberal-capitalismo.
Se c’è una lezione della Nuova destra, evocata da Pesenti, è quella di agire con le categorie dell’et-et e non dell’aut-aut. Se la politica si incarica o almeno tenta di fare nuove sintesi, superando le secche e gli steccati ideologici, o le antiche distinzioni tra elemento repubblicano ed elemento religioso (qui si dovrebbe aprire un dibattito sulla religione civile, ma non c’è spazio), se si propone di fare ciò in un’ottica di strategia e di visione, è una buona base per un salto di livello nel nostro dibattito pubblico. Questo obiettivo, penso, Fini l’ha già centrato. Ha convinto persino Giuliano Ferrara…