Quando si ragiona del disegno di legge in materia di dichiarazioni anticipate di trattamento, si sostiene spesso che parrebbe ingiusto impedire a chi rediga tali dichiarazioni di inserirvi volontà indirizzate a rifiutare interventi o trattamenti anche indispensabili a evitare la morte. Il ragionamento è più o meno il seguente: se un individuo può lecitamente, in piena capacità di intendere e volere, rifiutare di fronte al medico – nella sua condizione attuale di malato – un trattamento sanitario anche indispensabile al fine del suo mantenimento in vita, perché mai quello stesso individuo non potrebbe scriverlo, ora e per il futuro, in una DAT? Non sarebbe questa una lesione dell’autodeterminazione garantita dall’articolo 32, comma 2, della Costituzione?
Se questo ragionamento fosse corretto, alcune disposizioni presenti nel disegno di legge approvato dal Senato sarebbero incostituzionali. Lo sarebbe forse l’articolo 3, comma 5, per il quale nella DAT il soggetto non può inserire indicazioni che integrino le fattispecie di cui agli articoli 575, 579 e 580 del codice penale (rispettivamente: omicidio, omicidio del consenziente, istigazione o aiuto al suicidio). Lo sarebbe sicuramente l’articolo 3, comma 6, per il quale non possono formare oggetto di DAT l’alimentazione e l’idratazione, nelle diverse forme in cui possono essere fornite, in quanto sostegni vitali finalizzati ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita.
Espongo di seguito alcuni argomenti in senso contrario a questa tesi. In primo luogo, credo che la vita, prima ancora che un diritto fondamentale, sia la precondizione per il godimento di ogni altro diritto fondamentale, e come tale debba essere tutelata in modo preminente. Primum vivere, si diceva un tempo.
Sono poi d’accordo sul fatto che il diritto alla libera determinazione in materia di salute rientri tra i valori costituzionali indefettibili. Ma non è il solo ed unico valore di cui tener conto. Il diritto fondamentale ad essere curati rientra a sua volta tra i valori costituzionali primari, traducendosi in un dovere di solidarietà (articolo 2 della Costituzione) particolarmente intenso a favore dei più deboli, che si trovino in uno stato di dipendenza dagli altri (come ad esempio i soggetti in stato vegetativo persistente).
È chiaro che può esistere una tensione tra l’autodeterminazione, il diritto ad essere curati e il dovere di solidarietà ricordato. Essa va senza dubbio risolta non tramite soluzioni assolute, ma attraverso forme e tecniche ragionevoli di bilanciamento tra valori. Contesto però che il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione debba, sempre e comunque, risolversi nel sacrificio assoluto del diritto alla vita, del diritto ad essere curati e del dovere costituzionale di solidarietà. Se si può ammettere che ciò accada quando il soggetto è nelle condizioni di piena capacità psichica, e può prestare un consenso o un dissenso attuali, ben difficile è tollerarlo laddove il soggetto non sia affatto nelle condizioni di attualizzare con chiarezza la propria volontà.
Detto altrimenti: credo che il legislatore possa ragionevolmente distinguere tra la condizione di colui che, in piena capacità di intendere e volere, esprime un consenso o un dissenso attuale e informato su determinati trattamenti cui sottoporsi o non sottoporsi, e la condizione del soggetto che affidi a una dichiarazione anticipata alcune scelte in materia, però trovandosi successivamente nell’impossibilità di riattualizzare il proprio consenso.
Ciò che oggi si vuole, domani si potrebbe non volere più, soprattutto in condizioni fisiche e psicologiche ben diverse. Parrebbe davvero troppo inchiodare una persona ad una volontà passata – espressa in un contesto del tutto cambiato – particolarmente se da ciò possa derivarne la morte. Inoltre, si rifletta a questo: un conto è rifiutare in piena coscienza e con consenso attuale un determinato trattamento non ancora iniziato, ben altra cosa è autorizzare un medico a interrompere un determinato trattamento già iniziato, sulla base di una volontà espressa su carta in un tempo precedente.
Non saprei dire se vietare in assoluto di inserire in DAT determinate volontà sia la soluzione ideale. Forse si potrebbe trovare qualche formula meno tranchant. Certo è però che molti dovrebbero mostrarsi più prudenti nel ripetere – banalizzandolo – il refrain dell’autodeterminazione.