L’impressione, vista dalla Tv – la tre giorni romana era tutta funzionale alla TV, si svolgeva in uno studio-stadio televisivo e ogni intervento aveva la sua durata fissata, lo stacchetto d’annuncio ecc. – non è negativa. Del resto, tutta la stampa, compresa quella antipatizzante, ha modificato i toni. E Scalfari ha risdoganato Fini. C’è un vistoso salto qualitativo e contenutistico fra il 1994 e oggi. Sbagliano quelli come Casini – che pure è il miglior fico del bigoncio moderato, ma oppositorio – a insistere sul poco o nulla di nuovo, sul tanto è uguale ad allora, sul fra il dire e il fare ecc. E’ una sorta di riduttivismo influenzato, anche, dall’onda di piena mediatica di una tre giorni, un mix del IX Congresso del PCCinese e di una allegra Convention Usa (Elefantino dixit) che sembra privilegiare l’apparenza, la forma a discapito dei contenuti. Laddove, invece, forma e contenuto coincidono, non tanto o soltanto perchè s’incarnano nella medesima icona, quanto, soprattutto, perché l’icona è notevolmente cambiata in tre lustri, esattamente quanto è cambiata l’Italia: che in lei si rispecchia, nel bene e nel male.



Le novità sono di sostanza e, proprio in quanto tali, richiederanno una più consapevole sala di regia, anche sullo sfondo della crisi economica in atto. Tremonti, ma non solo. Il Pdl è un partito unico, basta Fi, basta An, basta cespugli. C’è stato un prima. Il dopo è cominciato ieri, solo il leader non è cambiato. Non può e non si può. Il suo carisma è unico, non è divisibile, proprio come la sua eredità politica. La “fine” del Cav è la fine del Pdl. Non ci sono eredi, numeri due, delfini.



Lo stesso Fini, vera novità del congresso, ha dato bensì l’impressione di una sorta di Claudio Martelli pensatore e provocatore rispetto al (suo) leader populista e personalizzato,ma rimanendo sempre sullo sfondo,nella foto di gruppo. Ancorché dotato di una  propria biografia riformatrice, laica e istituzionale, destinata a suscitare incontri e scontri fecondi (sulle durezze Leghiste, su un testamento biologico meno integralista, sul destino multiculturale italoeuropeo ecc.) Fini non romperà, ma starà en reserve, come un Amato di centro destra.

Visto in Tv – e dove se no? – il congresso costitutivo è stato un congresso non virtuale, partecipato, attento, con molti giovani, tanti amministratori locali, un ceto medio diffuso, una forte presenza femminile. E tanto kitsch. Sparita l’immagine del partito di plastica che, semmai, sembra più consona all’ormai sbiadita memoria di un Lingotto veltroniano finito in archivio. Il Cav ha ringraziato il suo popolo per le magnifiche rose. Che hanno le spine. E’ infatti iniziata la vera marcia o traversata del nuovo partito”moderato” all’interno delle istituzioni. Moderato perché capace di rivoluzionare gli assetti decrepiti del Paese. Per cambiare le istituzioni non per subirle. Per modificarle in profondità, a cominciare dalla Costituzione, dal Parlamento superaffollato, dall’impossibilità di interventi legislativi rapidi, dal disastro delle infrastrutture mancanti, di un certo Sud in mano alla criminalità, dai demenziali e corportaivi diritti di veto. Su questo si giocherà la  credibilità del Pdl e del suo Leader, senza più alibi e oscillazioni. Si sa che chi fa le riforme a metà si scava la fossa.



Ma il vero nodo sta al nord e l’ha lucidamente indicato il Governatore Formigoni: la Lega. Formigoni ha  ripreso il tema caro al Cav del partito del 51 per cento agitandolo come una clava o un altolà al Senatur: o di lotta o di governo, basta zone franche, basta lucrare sul potere e poi fare gli antipolitici. Ma, a parte il fatto che la Lega è quella roba lì, resta insormontabile il dato numerico: al Nord il Pdl non supera mai il 35-36% e la Lega viaggia verso il 20%. La Lega è e sarà un male necessario per il Pdl, se non cambia il quadro istituzionale col referendum prossimo venturo. Ma il Cavaliere è troppo avvertito dei rischi di una rottura verticale con Bossi e farà di necessità virtù. A meno che…