Caro direttore,

La mia vorrebbe essere una modesta proposta fatta con grande serietà. Mi rendo conto che potrebbe apparire assurda in Europa ma forse è uno dei pochi modi per cercare di capire cos’è per la Cina, e forse per il mondo, il problema del Tibet al di là della simpatia o meno per la religione e la cultura del posto.



Vorrei chiedere all’Europa e in particolare all’Italia di rifondare lo Stato Pontificio. Questo Stato è infatti forse il più antico d’Europa, ha svolto per secoli un fondamentale ruolo di mediazione nelle contese tra stati cristiani europei ed è stato propulsore di un movimento culturale, politico e strategico di opposizione all’invasione prima araba e poi turca che veniva dal sud e dall’est del Mediterraneo.



Inoltre, è stato sacrificato nel 1870 sull’altare della costruzione di uno Stato nazionale. Ma oggi da tante parti del mondo si levano molti dubbi sull’idea romantica degli Stati nazionali. L’idea della nazione è alla base dell’oppressione di altre nazioni all’interno o all’esterno degli Stati nazionali, aiuta a far crescere forme di razzismo, e oggi moltiplica i problemi creando sempre nuove spinte centrifughe in mille Stati, nazionali e non, da parte di etnie diverse da quella dominante. La rifondazione dello Stato Pontificio potrebbe frenare queste spinte, aiutare il dialogo tra nord e sud del mondo. Sono tutte idee totalmente teoriche, nonostante che possano essere sviluppate e fatte crescere senza limiti.



Di fatto la rifondazione dello Stato Pontificio sarebbe una bomba atomica geopolitica sul mondo e sull’Europa. Spazzerebbe via l’Italia, porterebbe alla ribalta un nuovo potente interlocutore politico con cui nessuno al mondo saprebbe come dialogare e tutta la diplomazia globale dovrebbe essere ricalibrata. All’interno della Chiesa sarebbe uno sconvolgimento senza pari, visto che decenni di modernizzazione sarebbero cancellati e bisognerebbe ripensare tante questioni politiche e anche religiose.

Certo ci potrebbe essere la soluzione intermedia: istituire una regione pontificia dotata di larga autonomia all’interno dell’Italia, che comprenda circa un quarto del territorio italiano ma popolata solo di preti, suore, frati, diciamo circa 100mila persone, lo 0,4 per cento dell’attuale popolazione italiana.

Sembra una proposta assurda? Bene, provate a cambiare i nomi “Stato Pontificio” con “Tibet”, e “Italia” con “Cina” e forse gli italiani avranno un’idea più prossima di cosa significa la questione tibetana per la Cina ed il mondo. Ciò certo non giustifica l’ostilità ufficiale di Pechino per il Dalai Lama o la repressione dei monaci. Ma implica che esiste un contesto: il Papa chiede uno Stato Pontificio? O una larga autonomia per una regione vaticana in Italia? No. Perché invece lo fa il Dalai Lama?

Eppure senza riflettere su questo, mezza Italia, destra e sinistra, sono in fiamme sulla questione del Tibet, che è lontana, riguarda una religione per loro misteriosa, il buddismo lamaista, con forti tratti esoterici. Perché? Perché è una questione di religione oppressa da un regime comunista (sic!).

D’altro canto invece quando c’è stata un’altra vicenda con aspetti religiosi molto più vicini all’Italia, quella di Eluana, la stessa Italia che inneggiava alla religione tibetana, si è rivoltata contro il Papa accusando la Chiesa cattolica di ogni nefandezza, e in pratica di essere crudele perché voleva prolungare la sofferenza di una povera ragazza in coma.

Eppure la questione di Eluana era estremamente delicata e spinosa, la Chiesa poneva questioni di principio di difesa della vita che avrebbero dovuto essere dolorosamente e faticosamente digerite, pensate a fondo in un momento in cui si fa ricorso alla guerra con estrema facilità, quando i limiti tradizionali della vita sono scossi dall’avvento delle biotecnologie

Che sta succedendo all’Italia? Ai suoi giornali, ai suoi intellettuali che cavalcano il drago misterioso del Tibet e si oppongono lancia in resta al Papa, parte millenaria della loro cultura e della loro identità?

Dalla distanza sembra che l’Europa voglia convertirsi, abbandonare il cristianesimo e abbracciare non il buddismo tibetano, troppo incomprensibile, ma una specie di neopaganesimo, una religione new age popolata di incomprensibili Lama, foglie di fico culturali, Pan primordiali che risbucano dalla foresta, dalle fila dei verdi del ritorno alla campagna o dalle giungle delle superprovette, dai laboratori ultratecnologici.

Sarà un effetto della distanza dalla quale scrivo, seguendo il suo gentile invito a dire come vedo il vostro Paese, ma tutto questo sembra una semplice follia in Italia. Oppure forse è sintomo di una grave crisi culturale. Molti italiani hanno smesso di sapere chi sono, cosa sono, cosa vogliono e brancolano nel buio annaspando verso un futuro che non conoscono, che magari si tinge delle tonache arancioni dei Lama alla moda, e rifugge quelle nere, vecchie e polverose degli antichi preti.

In effetti è giusto, la crisi è comprensibile. L’Italia, che si vedeva centro del mondo fino al Rinascimento, ha dovuto subire una prima marginalizzazione con lo spostamento dell’asse di gravità politico verso la costa atlantico-americana, e ora vede un ulteriore spostamento dell’asse politico economico sul Pacifico, tra California e Asia orientale.

Il primo spostamento era stato già dolorosissimo anche perché coincideva nel XVI e XVII secolo con lo scisma protestante e la spaccatura della cristianità. Il secondo spostamento, quello attuale, è ancora più profondo e importante perché tuffa l’Italia, l’Europa, culla della tradizione cristiana, in Asia. Questo è un mondo tradizionalmente estraneo alla cultura cristiana, non cristiniazzabile come fu l’America di Colombo, e ancora diversamente dall’America precolombiana, con una eredità culturale senza niente da invidiare alla europea.

La scorciatoia per questa sfida è la superficiale conversione alla cultura che viene da quelle zone, il lamaismo, che peraltro ha l’ulteriore vantaggio di essere una opposizione a quel mondo, il cinese, che sta portano la nuova crisi in Italia. Cioè il lamaismo è al tempo stesso una adesione (di facciata) al nuovo che avanza e contrasto vero a tutte le implicazioni reali di questo nuovo, la Cina.

Questo coincide con le polemiche su Eluana, che sfuggono a una riflessione seria sulla cultura della vita e si affannano invece a inseguire slogan, peripezie istituzionali a favore o contro le forme per tagliare l’alimentazione attraverso i tubi. Il circo intorno a Eluana è specchio assoluto del circo intorno al Tibet del Dalai Lama, e come tutti i circhi, dai tempi in cui furono inventati i circhi dagli imperatori romani, serve a nascondere, far dimenticare, comprare consensi a poco prezzo. Mentre però il mondo cambia e in questo mondo dove ci sarebbe bisogno anche d’Italia, l’Italia invece smette di pensare e riflettere.