La stessa storia di sempre: è arrivata la polizia e si è portata via l’anziano Julio Jia Zhiguo. La sua meta un luogo sconosciuto; la sua colpa, essere vescovo di Zhengding, nel Hebei, nel Nord della Cina; la sua pena, non definita. Il Governo ha voluto mandare un messaggio con tre destinatari: i cattolici clandestini uniti al Papa, perché sappiano che la repressione continua; i vescovi ufficiali che cercano la riconciliazione con Roma, perché non provino a sfuggire al controllo del governo; la Santa Sede, perché accetti uno status quo contro il quale grida il sangue dei martiri.
Il vescovo Julio conosce bene le carceri del regime, i rapimenti a mezzanotte, i viaggi lunghi e le insopportabili conversazioni con gli scriba di Pechino. Hanno provato a rieducarlo più volte, ma è resistente. Per qualche motivo che a loro sfugge, egli si impegna a rimanere fedele al Papa, non accetta di entrare dalla porta dorata che gli offrono i nuovi mandarini. Basterebbe accettare il controllo dell’Associazione Patriottica per poter continuare a celebrare la liturgia nella sua cattedrale. Che tentazione lasciarsi andare! Potrebbe svolgere tranquillamente le sue funzioni solamente accettando che la Chiesa sia un pezzo del grande Stato, un fattore per l’armonia che le nuove direttive del Pcn proclamano.
Ma monsignor Jia non ha ceduto. Anzi ha cominciato a praticare un gioco molto pericoloso seguendo i suggerimenti della lettera che Benedetto XVI ha inviato ai cattolici cinesi. Ha messo in pratica la riconciliazione con le comunità ufficiali riconosciute dal Governo, generando una dinamica di unità che fa girar la testa alle autorità. Di fatto il vescovo ufficiale, che cerca la comunione con Roma, aveva cominciato ad agire come ausiliare di mons. Jia collaborando in un piano congiunto che implicava già un’unità di fatto della comunità cattolica nel cuore di Hebei.
In questo caso la detenzione è carica di significato. Con essa si cerca di eliminare questa dinamica di unità che romperebbe dal basso la strategia dell’Associazione Patriottica, ma inoltre è stato scelto anche il momento in cui si tiene in Vaticano un summit per analizzare la situazione della Chiesa in Cina e l’applicazione della lettera del Papa. Pechino ha voluto sferrare un colpo ai tentativi del Papa di prendere iniziativa in terra cinese e ha cancellato brutalmente le aspettative dei più ottimisti, che annunciavano una rapida apertura delle relazioni diplomatiche.
Ma Benedetto XVI non è disposto a fare marcia indietro, e su sua espressa autorizzazione, il summit ha emesso una dura nota di risposta. Sono finite le vie di mezzo e i formalismi mentre la persecuzione aumenta. Due cose attirano l’attenzione nella nota finale del comunicato del summit di Roma: la denuncia senza mezzi termini dell’intollerabile repressione che subiscono i cattolici in una potenza trattata così delicatamente dall’Occidente, e la ferma decisione di continuare a sostenere l’attività concreta delle comunità cattoliche in Cina, in questo caso attraverso uno speciale impegno nella formazione dei sacerdoti.
Il Papa ha risposto chiaramente a Pechino: potete colpirci (da secoli lo fanno i poteri del mondo), ma la missione non smetterà in Cina, la fede non finirà di essere comunicata alle nuove generazioni come la miglior risposta dal punto di vista intellettuale ed esistenziale. E comunque, tutti i cinesi possono già accedere al contenuto della pagina internet del Vaticano nella loro lingua.