Così Maurizio Zipponi, la persona che sta alla classe operaia come il deretano alla camicia, ha accettato la candidatura per il Parlamento europeo nelle liste dell’Italia dei valori. Si tratta di un’indicazione assai significativa. Sicuramente nella decisione di Zipponi è presente un briciolo di opportunismo. Nessuno, con la passione della politica, rinuncerebbe ad un seggio sicuro a Strasburgo. Ma il segnale è forte, sia per la forza politica che “Mimì metallurgico” abbandona, sia per quella che lo accoglierà nelle sue file. In sostanza, per Zipponi la lotta in nome di un operaismo assatanato (che è diverso dal comunismo nostalgico) può proseguire benissimo a fianco di Antonio Di Pietro. Ciò, nonostante che nelle prossime elezioni europee vi sarà uno schieramento pluralista a sinistra del Pd, impegnato a superare la (provvidenziale) soglia del 4%.



Zipponi conosce i suoi polli: sa bene che quella coalizione improvvisata è strumentale, non sarà in grado di durare dopo il voto e, soprattutto, di lasciare un segno nella politica italiana, dal momento che le forze che hanno dato vita al patto europeo per tutta la XVI Legislatura saranno necessariamente formazioni extraparlamentari. Entrare nell’Idv, sia pure da Bruxelles, significa pure immettersi nel circuito della politica di casa nostra.



Certo, per il partito di Di Pietro non è semplice attrezzarsi per accogliere tanti militanti ex comunisti delusi di piccole monadi settarie e presuntuose. L’Idv è un caleidoscopio di storie politiche diverse. Il gruppo della Camera (il più numeroso) è una sorta di Legione straniera, con parlamentari che provengono da differenti formazioni della Prima e della Seconda Repubblica. Si è trattato spesso di persone che avevano esaurito la loro esperienza in altri gruppi e che, sentendosi ingiustamente emarginate perché non più riconfermate, hanno accettato l’arruolamento dell’ex pm, il quale non chiedeva particolari requisiti, salvo l’odio implacabile per Berlusconi. Del resto quale altro cemento diverso dall’antiberlusconismo ha tenuto in piedi le tante coalizioni organizzate a sinistra, dalla «gioiosa macchina da guerra» di Achille Occhetto all’Unione di Romano Prodi?



Nell’immaginario collettivo della sinistra tozza e dura è da sempre presente una vocazione forcaiola. Per loro gli avversari politici sono dei nemici. Non sono persone che hanno diversi interessi ed opinioni, ma dei ladri, dei mafiosi e quant’altro. Chi va con Franceschini e soci è un redento, chi li abbandona un traditore. Del resto, Stalin non si limitava a sopprimere gli avversari politici. Li voleva infamati, rei confessi delle peggiori nefandezze, prima di farli salire sul patibolo. Ad occuparsi dei dissidenti erano i tribunali penali. Poi, quando il regime conobbe un po’ di evoluzione, toccò agli psichiatri, perché solo dei deboli di mente potevano criticare l’ordinamento sovietico, per definizione il migliore del mondo.

Maurizio Zipponi, poi, proviene dalla Fiom di Brescia, una delle strutture in cui è passato Claudio Sabbatini e dove ha lasciato un segno nefasto, per la tendenza a farsi colonizzare di cui soffrivano i comunisti bresciani, quando si imbattevano in un leader carismatico come era appunto Sabbatini (il dirigente sindacale a cui venne attribuita la cocente sconfitta alla Fiat nell’autunno del 1980).