Non è la prima volta che si utilizza un caso pietoso e drammatico per una battaglia ideologica finalizzata a sostenere che con la nuova legge sulle Dat il paziente sarà sottoposto forzosamente all’alimentazione e all’idratazione artificiale anche quando non lo voglia.
La vicenda che ha riacceso il tema è quella di Paolo Ravasin, da dieci anni affetto da sclerosi laterale amiotrofica (SLA), che ha dichiarato in un video-appello che la legge approvata al Senato sarebbe “anticostituzionale” perché non consente di rifiutare l’idratazione e l’alimentazione. Si sostiene che questa legge renderebbe “carta straccia” le dichiarazioni del paziente ed in particolare la decisione di non sottoporsi ad alimentazione e nutrizione artificiale quando non fosse più in grado di farlo.
E’ subito il caso di chiarire che – al contrario di quanto sostenuto da Ravasin – sulla dolorosa vicenda dei malati di SLA non inciderà affatto, ove fosse definitivamente approvata, la legge attualmente votata dal Senato. Per tre motivi, piuttosto evidenti.
Primo. Il paziente, nel caso della SLA, è capace di intendere e di volere, dunque può rifiutare qualunque intervento: il testo Calabrò, infatti, non reca alcuna novità rispetto alla prassi oggi attuata con riferimento al consenso informato. La sclerosi laterale amiotrofica, come noto, è una malattia degenerativa e progressiva del sistema nervoso che influisce in modo predominante sui neuroni motori e nella maggioranza dei casi, la malattia non danneggia la mente, la personalità, l’intelligenza o la memoria del paziente. Dunque il paziente potrà sempre coscientemente rifiutare trattamenti sul proprio corpo e ciò sarà consentito anche dopo l’approvazione definitiva della legge sulle Dat.
Secondo. Anche laddove il paziente perdesse conoscenza, nel caso della SLA – trattandosi come detto di una malattia progressivamente degenerativa – continuerà a rilevare il consenso o dissenso espresso a seguito delle informazioni fornite dal medico, che comprendono anche l’evoluzione della malattia. In questo caso, dunque, il paziente può certamente rifiutare in anticipo gli interventi che ritenga invasivi. Siamo infatti fuori dall’ipotesi delle DAT che, come dispone il testo di legge ora approdato alla Camera, riguarda dichiarazioni di soggetti che non hanno ancora assunto lo stato di “pazienti”, cioè non sono ancora affetti da patologie. I malati di SLA sono invece pazienti che devono ricevere con continuità informazioni sulla loro malattia e di conseguenza dare o meno il consenso ai trattamenti che vengono via via proposti dal medico. L’alleanza tra medico e paziente in questo caso segue, perciò, le regole del consenso informato, in cui si può rifiutare qualsiasi trattamento indesiderato.
Terzo. Anche per il caso di rifiuto di alimentazione e idratazione – che il testo approvato al Senato limita esclusivamente al non potersi esprimere all’interno di una DAT – quando il paziente è in grado di esprimere la sua volontà, restano invece ferme le attuali prassi, e anche con riferimento ad uno futuro stadio degenerativo della malattia. Dunque, nel caso della SLA, il paziente potrà rifiutare nell’ambito del consenso informato anche il presidio che veicola il sostentamento, ove questo implichi un trattamento medico.
E’ infine opportuno ricordare che – in ogni caso – quando l’alimentazione e l’idratazione configurano forme di accanimento terapeutico, esse potranno essere sospese dai medici. Anzi questa legge proprio nei “casi di pazienti in stato di fine vita o in condizioni di morte prevista come imminente”, stabilisce un vero e proprio obbligo giuridico in capo al medico dall’astenersi da “trattamenti straordinari non proporzionati, non efficaci o non tecnicamente adeguati rispetto alle condizioni cliniche del paziente o agli obiettivi di cura” (art. 1, lett. f). Piuttosto si tratterà di spiegare meglio quale sia la differenza tra “fine vita” e “imminenza della morte”, anche al fine di scongiurare interpretazioni che facciano rientrare nel primo proprio gli stati vegetativi persistenti.
Dunque l’unico caso in cui non si potrà sospendere l’alimentazione e l’idratazione è quello relativo a quei pazienti che per un trauma improvviso cadano in uno stato di incoscienza e, come nel caso Englaro, non sono davanti a stadi terminali di una patologia che non consenta più l’assorbimento dei liquidi, ma anzi vedano provocata la loro morte proprio attraverso l’interruzione del sostentamento. Ma questo, come detto, non riguarda il caso dei malati di SLA.
Altro tema collegato, ma su cui la legge nulla dice, è piuttosto a chi spetti l’interruzione del trattamento ove questa interruzione sia legittimamente richiesta dal paziente. In assenza di una espressa previsione su questo punto, resta ferma – salvo diverso avviso dei giudici investiti di nuovi casi – la soluzione giudiziaria del caso Welby, che aveva ritenuto non punibile il medico adempiente ad una richiesta di interruzione di trattamento da parte del paziente cosciente.
Ora, se così stanno le cose, non può certo tacersi la strumentalità di usare un caso pietoso, del tutto estraneo ai contenuti del provvedimento normativo di cui si discute, con lo scopo di asserire l’incostituzionalità dello stesso e – come sostiene Emma Bonino – la necessità di riportare “il problema del biotestamento nel suo ambito naturale, quello dalla libertà”. In questa vicenda, infatti, di biotestamento non ce ne è nemmeno l’ombra.