È forte la tentazione di interpretare il significato della lezione tenuta l’altro ieri dal Presidente della Repubblica a Torino, alla prima edizione di Biennale Democrazia, come l’esposizione di un programma di “politica costituzionale” del tutto alternativo a quello del “berlusconismo” (così fa ad esempio Stefano Folli su Il Sole 24 Ore del 23 aprile). Da una parte (quella del Presidente Napolitano), il richiamo al principio della separazione dei poteri, al ruolo degli organi di garanzia (Corte costituzionale e Capo dello Stato), alla rappresentatività del Parlamento, ai limiti previsti dalla Costituzione rigida, che non possono essere ignorati nemmeno in forza dell’investitura popolare, diretta o indiretta, di chi governa. Dall’altra parte (quella del Presidente del Consiglio attuale), il sostanziale fastidio per i “procedurismi” e le lentezze, per le briglie imposte ai poteri del Governo e del premier, l’insofferenza per il sistema dei limiti e dei contrappesi, intesi come bardature sacrificabili sull’altare della “governabilità”, in funzione di decisioni rapide, perentorie e definitive.
Camminando un poco in questa direzione, qualcuno potrebbe addirittura essere tentato di dare una definizione semplificatoria ai due programmi: da una parte, il richiamo ai principi del costituzionalismo democratico-liberale, dall’altra, l’evocazione di una sorta di neobonapartismo, nutrito di consenso democratico, e venato dalle immancabili “derive plebiscitarie”.
Credo però che questa lettura sarebbe forzata. È probabilmente vero – come sostiene Massimo Franco sul Corriere della Sera del 23 aprile – che nelle parole di Napolitano si avverte l’eco di un disagio istituzionale covato a lungo, esploso in occasione della vicenda del decreto-legge sul caso Englaro. Ed è anche probabilmente vero che il Capo dello Stato abbia voluto marcare in anticipo il territorio, in vista della prossima ripresa del dibattito sulle riforme della seconda parte della Costituzione, quella relativa alla forma di governo.
Tuttavia, al di là dell’enfatizzazione di singoli passaggi critici – che indubbiamente si riferivano ad alcune delle boutades istituzionali più recenti e discutibili di Berlusconi – credo che la lezione del Presidente Napolitano vada in realtà apprezzata quale esercizio di “revisionismo istituzionale ben temperato”, come ha detto l’on. Fabrizio Cicchitto sul Corriere sempre del 23 aprile.
Il Capo dello Stato sostiene che è legittimo pensare a un rafforzamento dei poteri dell’esecutivo, ma che ciò deve avvenire per motivi chiari e trasparenti, e senza trascurare i rilevanti mutamenti nei rapporti di forza tra Parlamento e Governo verificatisi negli ultimi venticinque anni. Mutamenti che avrebbero rovesciato la tradizionale debolezza dell’Esecutivo rispetto all’Assemblea parlamentare, consegnando al primo una netta preminenza, realizzata attraverso l’uso e l’abuso della decretazione d’urgenza e il frequente ricorso alla questione di fiducia, e costringendo la seconda a un mero ruolo di ratifica.
Di questo si dovrà in effetti discutere: se, ad esempio, il ricorso al decreto-legge e alla questione di fiducia siano davvero sintomi di forza, o non piuttosto di debolezza, da parte di un Governo che non ha strumenti regolamentari per ottenere dal Parlamento decisioni in tempi certi su alcuni disegni di legge che ritenga prioritari; e che deve perciò ricorrere ad altri istituti, finendo per distorcerne la ratio originaria. Oppure – altro esempio – se la fiducia del Parlamento vada votata all’intera compagine ministeriale già formata (come accade oggi) o invece direttamente e soltanto al Presidente del Consiglio, prima che egli scelga i ministri e formi dunque il “suo” Governo, come accade nelle grandi democrazie europee. O, ancora, se il cruciale potere di scioglimento anticipato vada attribuito alla sostanziale decisione del premier, o lasciato al Capo dello Stato, come oggi. E se sia opportuno, accanto al rafforzamento di premier ed esecutivo, costituzionalizzare, quale contrappeso, un vero e proprio Statuto dell’opposizione, riservando ad essa significativi poteri di controllo.
Al di là delle questioni di “colore” e delle interpretazioni interessate a presentare un Capo dello Stato in funzione antiberlusconiana, la lezione di Napolitano va accolta in positivo: si discuta senza pregiudizi dei veri problemi che le nostre istituzioni oggi presentano.