Se di qualcosa si è parlato a proposito della manifestazione di sabato, è stato solo per capire come questo evento influenzerà le prossime strategie politiche della sinistra. Ben poco spazio hanno avuto le tematiche del lavoro, che dovrebbero essere al centro di un’iniziativa sindacale. Ha dunque tutte le ragioni il segretario della Cisl Raffaele Bonanni a lamentare lo snaturamento definitivo della realtà sindacale.
Bonanni, non c’è proprio nulla da salvare in questo intreccio di mondo sindacale e mondo politico che abbiamo visto scendere in piazza sabato?
Direi che di positivo non c’è nulla: la manifestazione di sabato ha reso evidente un totale snaturamento del rapporto tra un certo sindacato e la politica. Si è anche arrivati al paradosso di vedere in piazza coloro che hanno responsabilità verso intere comunità, come ad esempio gli amministratori locali, i quali hanno totalmente abbandonato questa loro prerogativa essenziale pur di far valere le proprie opinioni. Dunque si è trattato di una cosa del tutto diversa da ciò che doveva essere: è stato cioè il primo appuntamento della campagna elettorale per le elezioni europee e amministrative di giugno.
A cosa mira la Cgil organizzando eventi di questo genere?
Di certo la Cgil non mira a obiettivi sindacali, ma a mantenere una sua unità interna (e non con le altre sigle), e a portare avanti proprie strategie per ottenere successo e consensi. E questo viene fatto attraverso questa sorta di “amarcord”, di operazione nostalgia in cui vengono messe insieme tutte le componenti del ceppo che ha costituito la sua storia. Non per nulla erano presenti tutti i rappresentanti della sinistra. Quello che è l’obiettivo dei sindacati, cioè arrivare a un documento unitario per la contrattazione, è stato invece totalmente abbandonato. Un comportamento che per altro si ripete con qualsiasi governo, non solo con il centrodestra. La manifestazione di sabato è stata la riprova definitiva che ciò a cui mira la Cgil è il sostengo politico.
Quanto pesa su questo suo giudizio negativo il fatto di essere in tempo di crisi, in cui sono evidentemente necessarie scelte sempre più responsabili?
Premetto che un comportamento di questo genere è sbagliato in ogni caso; di certo lo è ancor di più in un momento così complicato per la nostra economia. Il punto è che ci sono culture diverse alla base di queste scelte: c’è chi ritiene che proprio in momenti di difficoltà come questi bisogna concordare con altri le strategie, ciascuno essendo cosciente della parzialità della propria forza, e per questo sforzandosi di assommare queste forze e remare tutti insieme per arrivare al porto; ci sono invece altri che ritengono, al contrario, che proprio la paura della crisi possa essere scacciata protestando continuamente contro gli altri. La protesta contro gli errori gravi dei governanti può essere giustificata; ma non in questo momento, in cui è evidente che la crisi ha cause esterne, e in cui il governo, anche se in maniera non ancora sufficiente, sta però dimostrando una certa capacità di dialogo. Più che protestare, ora bisogna concertare. E quando Epifani conclude chiedendo un tavolo, temo che miri a qualcosa di ben diverso.
Cioè?
Be’, la concertazione è il luogo dove si trovano persone diverse che hanno però gli stessi obiettivi, cioè mettere ciascuno il proprio mattone per costruire una soluzione. Se invece la richiesta di un tavolo è finalizzata ad avere un luogo mediaticamente osservato, dove c’è chi può additare le responsabilità degli altri e mettere in mostra le proprie opinioni, allora è qualcosa di totalmente diverso. Spero che abbia cambiato opinione; ma temo che quella sia la sua finalità.
Qual è dunque in concreto al strada che lei propone di percorrere?
Sempre la via della concertazione, che è una strada obbligata soprattutto in una realtà come quella italiana, dove il potere è molto diffuso e articolato. Questo il motivo, ad esempio, che ci ha spinto a proposito degli ammortizzatori sociali ad accordarci con le regioni; e in questo ho stimato molto l’atteggiamento del presidente della Conferenza delle regioni che, pur essendo di opinioni diverse rispetto a quelle del governo, ha però trovato un accordo. Lo stesso vale per il piano casa: io sono stato il primo a dire che era necessario l’accordo con le regioni, non foss’altro perché su questa materia hanno la potestà primaria. Io dunque ho salutato positivamente l’ottimo accordo trovato da governo e regioni, e sono convinto che darà frutti, mobilitando non solo soldi pubblici ma risorse private, e che porterà tutte le amministrazioni e le realtà sociali a remare dalla stessa parte. Questa è al direzione verso cui bisogna andare.
Le pare dunque che si stiano trovando risposte positive alla crisi?
Sì, soprattutto a livello internazionale. Lo si è visto a Londra, dove si sono prese decisioni importanti dal punto di vista finanziario a livello globale. Dalle restrizioni sui paradisi fiscali alle nuove regole per il lavoro. Decisioni che devono valere anche per i Paesi in via di sviluppo, dal momento che un loro black out genererebbe effetti devastanti anche per i paesi più ricchi. A maggior ragione in questo momento di decisioni internazionali bisogna anche a livello nazionale definire strategie che vadano in questa direzione. Da quello che si è visto sabato, non mi pare che gli organizzatori della manifestazione tireranno la volata a un lavoro di questo genere.
Insomma: è ormai palese a tutti che ci sono due sindacati con un’impostazione di fondo totalmente diversa. Questo che conseguenze avrà, anche nel lungo periodo?
In realtà mi sento di dire che è stato sempre così: la Cisl, che rappresenta una realtà uguale se non superiore alla Cgil, ha sempre rappresentato una sua propria cultura, vasta e profonda. Abbiamo un’impostazione diversa: noi facciamo della partecipazione un punto di forza, e abbiamo come alimento l’autogoverno, la sussidiarietà, il fatto di favorire ciascuno nella propria sfera il massimo esercizio dell’autonomia e della responsabilità. Questo è il motivo per cui siamo cooperativi. Noi partiamo dalla convinzione che il soggetto non è liberato da altri, ma che più allarga la propria sfera e più è libero; al contrario, più è presente lo Stato, e meno il soggetto è libero. Ora, l’importante è fare in modo che culture diverse possano camminare insieme per ottenere certi obiettivi. Invece certe culture si impongono, un po’ come fanno i muli, e quindi si creano i cortocircuiti. Ma la società è molto più avanti rispetto a queste cose, e prova ne è il fatto che in altri tempi la manifestazione di sabato sarebbe stata dirompente, mentre ora è passata come una cosa ordinaria.
Mi permetta un’ultima domanda un po’ cattiva. Cigl e Cisl avranno sicuramente culture diverse: ma perché allora su un tema tanto importante come la scuola continuano a parlare lo stesso linguaggio?
Non parliamo proprio lo stesso linguaggio. Certo, ammetto che da parte della Cisl in questo campo, su certi temi, c’è stata una certa timidezza; ma non abbiamo un’identica posizione. Noi siamo per l’idea che il pubblico debba essere rafforzato con l’apporto di tutti i soggetti, anche quelli non statali. Nella scuola questo messaggio non è sempre stato così esplicito, ma c’è.
(Rossano Salini)