È normale che alla fine di ogni vertice, ogni grande assise internazionale ciascun partecipante canti vittoria; è parte del gioco stesso di recarsi a queste riunioni, spesso simili a spettacoli quasi da circo, a performance teatrali, dove ogni gesto deve essere studiato e approvato in anticipo, tranne le improvvisazioni estemporanee di un attore che ci convince, come in TV, che tutto è “dal vivo”.



Sarebbe strano il contrario. La Cina quindi certo non può esimersi dall’unirsi al coro in cui ciascuno, a voce più o meno alta, canta al suo pubblico il proprio successo. Però, al di là del cerimoniale, davvero pare che stavolta la Cina abbia raccolto un importante successo internazionale.

Il discorso rilasciato dal governatore della Banca centrale cinese Zhou Xiaochuan è stato il più citato dalla stampa internazionale, anche superficialmente, come “l’attacco della Cina al dollaro”.



La questione andava però oltre i facili titoloni dei giornali. La Cina ha davvero portato la nuova agenda del vertice, anche attraverso un attento e sottile lavoro diplomatico durato mesi. Qui però bisogna distinguere due aspetti, il nuovo peso oggettivo della Cina e il peso oggettivo delle sue proposte. I due aspetti sono collegati ma distinti e si sono rinforzati a vicenda.

Il peso oggettivo della Cina al vertice era enorme, per il semplice fatto che la sua economia è quella che corre almeno al +6% all’anno (forse raggiungerà l’8% alla fine del 2009) e che contribuirà forse per oltre il 30% della crescita globale quest’anno. Inoltre è il più grande creditore del mondo, con oltre 2 trilioni di dollari in riserve e rispetto al secondo in lista, il Giappone, è l’unico che può permettersi di continuare a finanziare i debiti americani.



Ha un sistema amministrativo che ha protetto le sue banche dall’ondata di crisi attuale e continuerà a tenere queste banche relativamente isolate. Queste, con una struttura gestionale “primitiva”, sono alla fine risultate più solide delle banche americane che usavano complicati algoritmi per giustificare forze di leva di 1 a 60, cioè per un dollaro in cassa ne prestavano 60. Infine ha un’esperienza: già nel 1997 fermò la crisi finanziaria asiatica.

Accanto a questo la Cina ha presentato idee concrete per una riforma complessiva e strutturale dell’intero sistema finanziario internazionale, largamente basato ancora sugli accordi di Bretton woods del 1944. La Cina ha chiesto maggiori poteri al Fondo monetario internazionale (Imf) o a simili organismi internazionali, per un’opera di vigilanza e “coordinamento”. Ha posto il problema del ridimensionamento del peso globale del dollaro attraverso una maggiore centralità degli SDR, (special drawing rights), il sistema di contabilità bilanciato tra le monete tenuto dall’Imf.

Ha chiesto di contare di più nello Imf e ha in pochi mesi concluso una decina di accordi di scambio monetario con alcuni Paesi, come Hong Kong, Corea, Malaysia, Indonesia ma anche Argentina, che sono un passo avanti per rendere il RMB (la moneta cinese) pienamente convertibile e più “pesante” nello SDR. Infine sta di fatto ripristinando il peg, il cambio fisso, con il dollaro che dovrebbe aiutare a sostenere il biglietto verde americano. In questo modo sostiene il dollaro, ma lo mette sotto tutela, un po’ come capita a chi si rompe la gamba e ha bisogno di una ingessatura, che sostiene la frattura ma limita i pericolosi movimenti dell’arto.

Inoltre un ultimo aspetto è che ha chiesto maggiori controlli delle istituzioni internazionali sulle grandi piazze borsistiche, come Wall Street, e dei Paesi con grandi riserve, come Cina o Giappone. I due aspetti sono facce della stessa medaglia: i Paesi con grandi riserve investono nelle grandi piazze, che poi usano il denaro anche per scorrerie o altri investimenti più o meno saggi per il mondo.

La proposta così articolata andava nel senso di tenere conto delle preoccupazioni di tutti, di quelle degli europei che chiedevano più controlli, quelle degli americani che non vogliono certo abbandonare il dollaro come valuta internazionale, e quelle dei cinesi che hanno il problema di cercare di tutelare i propri investimenti in dollari. Quest’ultimo è un problema spinoso per la Cina: i miliardi che stanno per essere gettati nell’economia mondiale potrebbero portare inflazione che di fatto svaluta gli investimenti cinesi in America.

In questo caso la Cina rischia di essere il salvatore della situazione ma anche la vittima sacrificale del processo. Il salvatore può esserlo per le sue riserve investite a sostegno del dollaro, la vittima perché il valore di quelle riserve va a calare e quindi dopo aver salvato l’America rischia di trovarsi più povera di prima.

La vera tutela per la Cina in questo senso sarebbe allargare di fatto l’uso dello yuan come moneta internazionale, ma questo non si può senza la piena convertibilità dello yuan, che avrà bisogno di qualche anno per adattare le strutture finanziarie cinesi alle esigenze internazionali. Nel frattempo si tratta di costruire un nuovo ordine economico mondiale in cui devono essere definiti i nuovi rapporti e i nuovi pesi fra le varie monete, finanze ed economie. Si tratta di un processo complesso che comunque è stato messo in moto.

Il vertice di Londra è stato il primo passo di questo cammino ed era importante per la Cina porre con chiarezza la sua posizione. Il resto del processo dipenderà da molti elementi, ma dal punto di vista cinese è importante tenere insieme ben collegati gli elementi internazionali e quelli bilaterali. Internazionalmente si tratta di tenere conto delle necessità di europei, giapponesi e dei grandi Paesi emergenti. Il bilaterale è importante per mille altri motivi, per l’integrazione profonda tra le due economie cinese e americana e per i rapporti che vanno al di là dell’economia, in questioni politiche e di sicurezza.

Per la Cina si è aperta una complessissima partita internazionale a molti livelli, in cui Pechino è in vantaggio sugli altri, ma deve curarne bisogni e mantenere il vantaggio dell’iniziativa conservato fino ad adesso. Insomma, la Cina è alla sua prima esperienza da superpotenza globale che nel bene o nel male segnerà i suoi passi successivi, in un mondo dove, comunque, conterà sempre di più.