La visita del Santo Padre in Giordania arriva in un momento delicato in cui il nuovo Presidente degli Stati Uniti ha dato segnali di apertura verso la risoluzione della crisi mediorientale, ma ha detto al tempo stesso un fermo no al terrorismo.
Da moderata non posso che rallegrarmi delle parole di Benedetto XVI, parole di pace e di comprensione, di apertura e di dialogo. Parole di un fine teologo che ha messo al centro del proprio mandato i diritti inalienabili dell’uomo, la solidarietà, la misericordia, la sacralità della vita.
Nelle sue prime dichiarazioni il Papa ha sottolineato l’importanza del dialogo tra le grandi religioni monoteiste ammonendo contro l’estremismo e una certa strumentalizzazione della religione. Ricordando che “viene sfigurata quando viene costretta a servire l’ignoranza e il pregiudizio, il disprezzo, la violenza e l’abuso”.
Ma quello che mi sembra significativo sottolineare è il suo appello allo spirito, alla forza spirituale in grado di unire tutti gli uomini in un futuro comune di pace, appello lanciato dal monte Nebo, dove si schiudono le porte della Terrasanta, dove Mosé vide la Terra promessa. Un luogo altamente simbolico, una cerniera proiettata verso il futuro. Una grande via di comunicazione, la prima e la più importante.
Le parole del Papa fanno appello alla bontà dell’essere umano, contro ogni forma di sopruso e di violenza: plaudo alle sue posizioni contro la temibile avanzata di quell’estremismo figlio di un nichilismo ipocrita che vuole annientare ogni forma di comprensione e ogni progetto di convivenza.
Ecco perché oggi ribadisco il mio fermo no al terrore, alla violenza, all’estremismo, alla prepotenza dell’uomo sull’uomo. Dico no a chi sventola la testa delle donne come una bandiera politica, no all’imposizione di un velo che non ha nulla a che vedere con la dottrina islamica, no al nazi-fascismo islamico che vede il mondo come un territorio di conquista da segregare entro griglie semantiche. La violenza che prende i precetti religiosi come proprio fondamento è incompatibile con ogni forma di dialogo perché si appella a un primato ontologico assoluto.
Si parla tanto di scontro di civiltà, ma spesso non ci si accorge che si tratta di una cartina di tornasole: la battaglia vera, forte, in atto, è quella tra moderati musulmani ed estremisti musulmani, cruciale per la salvaguardia dei diritti fondamentali dell’uomo che oggi sono messi in discussione.
Non capisco quelli che vanno a braccetto con personaggi come Karzai o Ahmadinejad: temo di dovere affermare che il dialogo con i talebani sia una partita persa in partenza, perché non esiste peggior sordo di chi non vuol sentire. Ma se qualcuno di quei signori vuole dimostrarci il contrario, saremo contenti di ascoltarlo, com’è nostra abitudine fare con chi è disposto a sedersi per ascoltare e parlare civilmente.
Credo che le parole del Papa abbiano dato un segnale forte di impegno in nome della fratellanza, un segnale che si appella al Dio da cui tutti veniamo. Un padre grande e misericordioso che ama i suoi figli indistintamente. E’ questo il messaggio più importante di Benedetto XVI in un momento in cui il mondo intero è scosso da eventi luttuosi, guerre, povertà, tensioni sociali. Un messaggio che dà speranza e invita ad agire per il bene comune. Un messaggio che noi moderati accogliamo con gioia e che ci sprona a lavorare più intensamente.
Il prossimo Meeting annuale di Comunione e Liberazione in programma a Rimini verterà sul dialogo tra le culture: io ci sarò per celebrare l’alba di una nuova stagione di comprensione. Sono sicura che si tratta di un’ottima occasione per porre le basi per una riflessione pacata e ponderata su come rafforzare in seno al mondo arabo il pensiero di noi moderati, ormai stufi di essere presi di mira, attaccati, derisi o, peggio ancora, ignorati da un nichilismo sovversivo e violento che non dovrebbe avere alcun margine in un mondo civile.
Ha ragione Aamin Malouf quando dice che “la violenza ha dimostrato che non può risolvere nessun problema”. E’ necessario sedersi assieme per trovare una soluzione definitiva alla questione mediorientale. E, riprendendo le sue parole, “in questo contesto diventa essenziale il ruolo di un’autorità morale che crei punti di riconciliazione”.