Una sfida politica e una grande partitica culturale: l’appuntamento delle elezioni europee contiene grandi spunti e profonde occasioni di riflessione. Lorenzo Ornaghi, rettore dell’Università Cattolica e professore di Scienza politica, al tema dell’integrazione politico-istituzionale dell’Europa e al dibattito culturale intorno alla stesura della Costituzione europea ha dedicato molta parte della propria riflessione teorica. A ilsussidiario.net propone le sue riflessioni per sciogliere il nodo politico-culturale sotteso a questo importante appuntamento elettorale.



Professor Ornaghi, parliamo di europee ponendoci innanzitutto dal punto di vista del cittadino elettore: chi andrà a votare il 6 e il 7 giugno a quale Europa deve guardare?

 

Il cittadino deve saper ragionare in prospettiva europea e portare, con la propria scheda, un atto di fiducia ragionata, anche se a volte può essere difficile, nei confronti dell’Europa. L’Europa vive sicuramente un momento molto complicato nel suo processo di integrazione politica e istituzionale. Una difficoltà che è resa evidente da tutta una serie di decisioni, prese a Bruxelles, che non sono più solo decisioni di tipo burocratico, ma vere e proprie prese di posizione di carattere fortemente ideologico. Si intravede in questo il rischio che il Parlamento europeo, l’organo che dovrebbe essere rappresentativo dell’Europa nella sua interezza, diventi il luogo in cui si raggruma la parte più vecchia e ideologica dei singoli stati nazionali. Il voto dunque deve essere concepito come una risposta a questa situazione.



Qual è la radice profonda di questo problema culturale che incide sulla decisioni prese in sede europea?

Quando ad esempio si dice che ci siamo staccati, più o meno consapevolmente, dalle radici cristiane del nostro continente si dà già una spiegazione abbastanza chiara del fenomeno culturale che sta alla base di certe decisioni. Questo staccarsi dalle radici ha significato non solo perdere o far sbiadire un elemento unitario molto forte, ma ha significato anche perdere un tratto essenziale che caratterizza il cristiano, cioè l’apertura al nuovo. Come infatti diceva San Paolo, il cristiano guarda al nuovo, e non ne ha paura. Ebbene, l’affievolirsi delle nostre radici cristiane comporta anche una chiusura, porta ad un’Europa ripiegata su se stessa, e sulle idee che la caratterizzano a partire dal tardo ’700. Una società che si ripiega, che non ha più il coraggio di guardare al nuovo che avanza diventa una società stagnante.



Il percorso dell’Europa unita parte dall’aspetto economico (unità economica europea) per arrivare infine all’aspetto politico: a che punto siamo in questo percorso? L’approdo all’unità politica si intravede o è ancora lontano, o addirittura inarrivabile?

Noi siamo certamente giunti al punto di capire con estrema chiarezza che la politica, se ben intesa e altrettanto ben praticata, deve necessariamente guidare i grandi processi e le grandi trasformazioni. Non nasce una grande realtà politica soltanto perché ci si unisce economicamente; la politica – ripeto, se ben praticata – ha una sua funzione essenziale. A tale consapevolezza non è seguita però una concreta attuazione: abbiamo ancora diverse politiche nazionali e siamo molto distanti dall’avere una politica europea, sentita come tale se non proprio da tutta l’Europa, almeno dalla gran parte di essa.

Anche l’attuale crisi ha certamente influito molto sui temi di cui stiamo parlando: al di là del semplice aspetto economico, c’è proprio tutto un sistema sovranazionale che è entrato in crisi. Come cambia l’Europa in questo contesto?

Potrebbe cambiare molto, ma il condizionale è d’obbligo. Intendo dire che l’Europa, se lo volesse, potrebbe proprio in questa situazione ricorrere al suo eccezionale patrimonio di storia e di idee, decisive per ridisegnare le nostre istituzioni. Non possiamo infatti rimanere presi nella tenaglia che vede da una parte lo Stato come era concepito fino al secolo scorso, un’istituzione che è andata via via funzionando con sempre maggiori inconvenienti e difficoltà, e dall’altra parte le forme istituzionali che si approssimino sempre di più a una larga comunità. Dobbiamo saper impostare il problema in modo diverso, riprendendo ad esempio in termini molto più approfonditi il tema del rapporto fra una comunità e il suo territorio, e quali sono le istituzioni che permettono il raccordo tra quelle comunità e quel territorio con le comunità e i territori vicini. Credo che si possano e si debbano costruire forme nuove di unità attraverso i rapporti tra comunità.

Siamo partiti dagli elettori e concludiamo con gli eletti: quale deve essere il compito di un politico eletto al Parlamento europeo?

L’eletto si troverà ad essere carico di molte responsabilità nella misura in cui prenderà chiaramente coscienza delle difficoltà del momento. Il compito principale di un eletto, che è rappresentante di tanti cittadini che si sentono rappresentati in modo diverso, è forse quello di provare lui stesso ad essere un rappresentato. Deve saper dire: io come rappresentato, ponendomi dalla parte del rappresentato, che cosa porto in questo luogo? Quali dei miei valori e dei miei convincimenti porto qui? Solo così, con questo impeto, potrà fare in modo che quel luogo, il Parlamento europeo, non rimanga solo la somma un po’ scomposta di cose vecchie.  

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