Le elezioni europee sono elezioni del tutto particolari, e i motivi sono evidenti. A votare sono oltre trecento milioni di persone, appartenenti a 27 paesi sovrani, che parlano quasi 20 lingue diverse e che eleggono più di settecento rappresentanti.

Il parlamento deve rappresentare gli orientamenti delle popolazioni, e non ha problemi di governabilità: non ha un governo a cui dare la fiducia, non ha candidati pan-europei alla guida di un governo federale, non ci sono piattaforme politiche pan-europee da votare. Di conseguenza, e per legge europea, il parlamento è eletto con sistema proporzionale.



Quasi tutti i grandi paesi (Francia, Germania, Spagna, Inghilterra) usano un sistema elettorale a liste bloccate: in ogni circoscrizione ogni partito presenta una lista, e se guadagna 3 seggi, i primi tre candidati di quel partito saranno eletti. Molti paesi più piccoli invece (Polonia, Belgio, Olanda, Finlandia, Austria, l’Irlanda) utilizzano un sistema proporzionale con liste “aperte”. Il che vuol dire che l’elettore non solo può scegliere il partito, ma anche chi all’interno di quel partito si preferisce venga eletto.



Questo sistema non a caso è preferito da paesi più piccoli, così come da noi è preferito per le elezioni locali: il grande pregio è infatti di garantire un rapporto diretto tra eletto ed elettore, evitando che i giochi vengano tutti fatti dagli oligarchi (o monarchi) dei partiti in barba all’effettiva rappresentatività degli eletti. Certo è che ha anche il grosso svantaggio di ingenerare una guerra “fratricida” tra compagni di partito, una lotta per le preferenze che fa esplodere i costi delle campagne elettorali personali, e conseguentemente può incrementare i rischi che lobby e potentati di varia natura (si pensi agli annosi problemi del Sud Italia) “comprino” i politici attraverso finanziamenti elettorali o, in luoghi dove la società civile è meno attiva e strutture para-feudali ancora prevalgono, pacchetti di voti da spostare di qua o di là.



L’Italia in questo senso fa eccezione: è forse l’unico paese “grande” che non si affida a liste bloccate e, correndo il rischio di nutrire un sistema di voto di scambio clientelare, lascia agli elettori la libertà di scegliersi i propri rappresentanti. Questa eccezione italiana, se vogliamo, fa anche da salutare limite all’enorme potere che è già nelle mani dei capi di partito, che soprattutto nei partiti “personali” (Italia dei Valori, Popolo delle Libertà ad esempio) godono di poteri quasi illimitati.

Ogni paese elegge un numero di deputati proporzionale alla propria popolazione, secondo la tabella riportata qui sotto. La Germania con i suoi oltre 80 milioni di abitanti la fa da padrona, seguita dalle tre “grandi” Francia, Italia e Gran Bretagna.

Nazione

Deputati

Affluenza alle ultime europee (2004)

Germania

99

43%

Francia

72

42%

Italia

72

68%

Gran Bretagna

72

37%

Spagna

50

45%

Polonia

50

20%

Romania

33

Olanda

25

40%

Belgio

22

90%

Rep. Ceca

22

27.9

Grecia

22

62%

Ungheria

22

38%

Portogallo

22

38%

Svezia

18

37%

Austria

17

41%

Bulgaria

17

Finlandia

13

41%

Danimarca

13

47%

Slovacchia

13

16%

Irlanda

12

59%

Lituania

12

48%

Lettonia

8

41%

Slovenia

7

28%

Cipro

6

71%

Estonia

6

27%

Lussemburgo

6

90%

Malta

5

82%

Totale

736

Una volta a Bruxelles, i deputati si raggrupperanno in vari gruppi parlamentari che rispettano, molto vagamente, linee culturali comuni. Il Partito Socialista Europeo con le “sinistre di governo”, il Partito Popolare Europeo che raccoglie le forze conservatrici e democratico-cristiane, il gruppo liberale di centro laico, Comunisti & Verdi, Destra antieuropeista (a cui appartiene la Lega) e qualche altro. Di fatto PPE e PSE costituiscono la stragrande maggioranza degli eurodeputati (quasi due terzi in questa legislatura) e si spartiscono amichevolmente gran parte delle posizioni di punta.

Appartenere ad un gruppo europeo è molto importante, dato che le varie posizioni nelle commissioni e nelle delegazioni vengono assegnate in modo proporzionale per partiti politici europei, e poi suddivise all’interno dei partiti politici tra le varie nazionalità. Ciononostante le appartenenze ideologiche nazionali prevalgono di gran lunga su quelle partitiche europee: questi partiti europei sono spesso poco più che federazioni e cartelli di partiti nazionali.

Ciò che colpisce tuttavia è che i cittadini europei non sembrano essere particolarmente interessati ad eleggere i propri rappresentanti a Bruxelles: a parte paesi molto piccoli (Lussemburgo, Malta, Cipro) o direttamente toccati dalla vita del parlamento europeo (i Belgi, che godono di vantaggi e svantaggi di essere la sede di Parlamento e Governo europei), solo Italia, Grecia e Irlanda hanno visto più di metà della popolazione recarsi a votare i propri rappresentanti europei.

Il Parlamento Europeo è ancora un’istituzione poco sentita dai cittadini della UE, che probabilmente non a torto hanno l’impressione che gran parte delle decisioni vengano prese a prescindere dagli orientamenti politici del Parlamento, dai capi di governo dell’Unione Europea.

(Emanuele Bracco)