Entra nel vivo la campagna elettorale per le europee e le amministrative. Al di là di alcune oscillazioni nei sondaggi, è certo il fatto che in casa Pd l’appuntamento viene atteso come la rassegnata attesa del “dì fatale”: un esito che potrebbe essere pesantemente negativo. Ed è solo sul quanto sarà negativo che rimangono i dubbi. Nei giorni scorsi D’Alema ha cercato timidamente di infondere un po’ di coraggio, invitando a non lasciarsi andare allo “sconfittismo”: una difesa un po’ fiacca, cui Stefano Folli, editorialista de Il Sole 24 Ore, non sembra dare grande peso.



In effetti D’Alema fino a questo momento non sembra essersi dimostrato particolarmente agitato dal problema della campagna elettorale: che significato ha ora questa sua dichiarazione?

Non mi pare che le si debbano attribuire particolari significati: è semplicemente il minimo che possa dire un politico in un dibattito pubblico, quando mancano tre settimane alle elezioni. Va però detto che D’Alema ha poi aggiunto altre cose, e in particolare una: che bisogna superare l’amalgama malriuscito. E mi pare naturale pensare che si riferisse al Pd. Quindi anch’egli non fa altro che cercare di limitare i danni, per poi avere la possibilità di costruire una nuova prospettiva politica dopo le elezioni.



Franceschini, dal canto suo, dice di voler fare una campagna elettorale “dal sapore antico”, cioè in mezzo alla gente più che alla tv: ma c’è questo rapporto con la gente?

Deve recuperarlo, perché è evidente che il contatto è stato perso e che si è rotto il filo con la società, come le ultime sconfitte elettorali dimostrano in modo chiaro. Prendiamo ad esempio gli ultimi dati secondo i quali l’Italia è uno dei Paesi con i salari più bassi. Questo non è evidentemente colpa del governo Berlusconi, ma è un dato che si protrae già da alcuni anni, dato di cui i governi del centrosinistra erano consapevoli. Il ceto operaio non si è sentito tutelato, e per questo, come testimonia anche il sondaggio pubblicato da Il Sole 24 Ore, ha iniziato a votare centrodestra.



Ma se non è colpa di Berlusconi adesso, non era nemmeno responsabilità del centrosinistra prima.

Il fatto che l’Italia fosse un paese di bassi salari ha comunque contribuito alle sconfitte del centrosinistra. È vero che la dinamica dei salari non dipende dal governo; però è altrettanto vero che un governo di centrosinistra deve saper immaginare, proprio sulla base di questi dati, un rapporto diverso con la società. Invece la gente non ha percepito questa prospettiva. Ora Franceschini fa bene a volere una campagna elettorale diversa, alternativa al modello televisivo. Ma è tutto il centrosinistra che deve essere consapevole dell’esigenza di ricostruire un rapporto con la società. Invece su questo continua ad essere debole.

I dati Ocse sui salari sono quindi un’arma da utilizzare all’inizio della campagna?

Sì, tutto il Pd dovrebbe capire che è abbastanza ovvio, per loro, puntare su questo. La parte debole della società soffre, ma questo non implica automaticamente che vada a votare a sinistra. Magari è proprio per questo che vota a destra, per cercare una chance nuova. La sinistra ha rotto il suo blocco sociale, e quindi non può sperare in un automatismo nel voto di chi ha problemi salariali.

Berlusconi invece sembra cercare un profilo più basso, e comparire poco: perché questa scelta?

Berlusconi è stato abbastanza ferito dalle ultime vicende che lo hanno colpito a livello personale. Mi pare che senta il problema di non doversi mettere troppo in mostra, dato che la forza della sua immagine – che rimane comunque notevole – in questo momento si tutela a patto che egli non si esponga troppo. Sta giustamente cercando di evitare le polemiche eccessive che lo hanno segnato in queste settimane.

L’accelerazione sui temi della sicurezza e dell’immigrazione ha naturalmente un valore anche elettorale: c’è secondo lei una caccia alla redistribuzione interna dei voti nel centrodestra?

Di sicuro questi sono temi obbligati per il centrodestra. L’impressione prevalente è che sia stata la Lega a imporre il ritmo della partita. La Lega è stata in primo piano su tutto: sulla lotta all’immigrazione clandestina, sul pacchetto sicurezza in Parlamento; gli altri hanno dovuto seguire, e in qualche caso correggere alcuni aspetti. Il risultato finale è che la Lega ne ha tratto il maggior vantaggio. Staremo a vedere quel che succede alle elezioni, ma penso che la Lega si avvii ad avere un risultato importante. Consideriamo anche il fatto che il tipo di appuntamento elettorale – con le europee e le amministrative non si decide il governo del Paese – favorisce un certo travaso di voti. All’interno del centrodestra ci sono voti che possono provvisoriamente passare dal Pdl alla Lega; così come sono certo che nel centrosinistra molti voti andranno a Di Pietro, i voti di chi vuole restare nell’area del centrosinistra, ma che non vuole votare Pd. Rispetto alla spinta bipartitica delle politiche, penso che ci possa essere una maggior articolazione del voto.

Quanto pesa sulla campagna elettorale, da una parte e dall’altra, la spada di Damocle del referendum?

È una minaccia abbastanza forte. La Lega è molto sospettosa, naturalmente. Ma d’altra parte ritengo che se Berlusconi avesse voluto usare l’arma del referendum per fare piazza pulita avrebbe potuto agire prima, unificando referendum ed europee per far raggiungere il quorum. Non l’ha fatto e ha scelto una strada pragmatica. Ora molti dicono che dopo il primo turno il premier di scatenerà su questo versante. Io, personalmente, non ci credo affatto. Berlusconi non ama le battaglie perse: l’idea di legare il suo nome a una campagna che poi non produce il suo effetto (considerato che il quorum assai difficilmente sarà raggiunto), per di più generando esiti devastanti nel rapporto con la Lega, mi pare uno scenario ben poco credibile.

E l’effetto referendum sulla sinistra?

Uno solo: confusione totale. Il Pd è diviso in non so quante correnti sul referendum. Certo, è comprensibile una certa difficoltà: dire semplicemente “votiamo sì” sarebbe masochistico. Ma a parte la complessità del tema, resta curioso il fatto che non siano stati capaci di trovare un punto di equilibrio al loro interno nemmeno su questo.

Tutti problemi rinviati a ottobre, per il Pd?

Vedremo. Se le elezioni dovessero andare molto male, non credo che aspetteranno ottobre; potrebbero aprire una crisi in luglio. Ma solo se andrà molto male. Se solo andrà “così così”, allora si aspetterà ottobre.

(Rossano Salini)