Viviamo in un mondo accelerato quale non è mai stato in passato a motivo degli sviluppi tecnologici e delle loro conseguenze sulla vita di tutti. Quando formula giudizi sul mondo, chi non vive il presente con attenzione e non è educato a ciò, oggi più di ieri, rischia di sbagliare bersaglio. È come se in un tiro a segno uno sparasse a sagome in veloce movimento. Crede di colpire una sagoma, ma quella è già passata e colpisce a vuoto.



Il mondo degli intellettuali cattolici italiani, assai più della base, ha nutrito, da dopo la guerra in avanti, una simpatia, credo in parte inizialmente spiegabile, per la sinistra nelle sue varie forme. Il tipo umano prevalente in essa conservava spesso forti tratti dell’antropologia e dell’etica cristiane. Basti ricordare l’esperienza del ’68.



L’imperativo cristiano della carità, interpretato moralisticamente, portava ad assumere il metodo marxista di analisi. Ma dalla carità, attraverso la lotta, si è passati al buonismo un po’ estenuato e nichilista di oggi. Qualcuno ha notato che la sinistra ha vinto culturalmente, ma non politicamente. Nessuno (nemmeno Storace) rifiuta a priori istanze e temi della sinistra che sono ormai “politically correct”, ma la sinistra non riesce a fare proposte concrete credibili sul piano politico e quindi a vincere elettoralmente. Soprattutto è venuta meno in Italia e nel mondo la grande divaricazione fra proposte economiche di destra e di sinistra che c’era una volta. Così accade che la sinistra moderata possa apparire talora più liberista del centro destra.



Il problema della sinistra è quindi: che cosa significa essere di sinistra? Quale è l’identità della sinistra oggi? Che cosa rivendicare? Contro chi combattere?

In questa situazione per avere un’identità, e quindi voti, la sinistra è tendenzialmente costretta a far sue le proposte di carattere libertario nichilista che sono diffuse nel mondo di oggi. Essa, per di più, come sociologismo (esito del marxismo), come ha mostrato Del Noce, non ha in se stessa gli strumenti per resistere a queste proposte. Dal marxismo (speranza + scienza) si dissocia o la mera speranza (ritorno alla fede cristiana o almeno kantiana) o, più spesso, la mera scienza assolutizzata (sociologismo-relativismo-nichilismo). La Chiesa è l’unica istituzione del passato che resiste in qualche misura ed è, perciò, il bersaglio ideale di un nichilistico andar contro per affermarsi e trovare riconoscimento e identità. Probabilmente l’uomo che ha avuto in Italia più peso da cinquant’anni a questa parte, soprattutto sui ceti intellettuali, in questo graduale passaggio della sinistra al radicalismo libertario, è Eugenio Scalfari.

Potremmo leggere la richiesta impazzita di diritti (autodeterminazione ecc.) e la lotta contro le discriminazioni, come suggerisce René Girard, come la ricerca di riconoscimento in un mondo occidentale postcristiano in cui Dio si è dileguato, ma è rimasta in forme anche anarchiche la richiesta impellente, ma inesaudita di un “tu” in grado di riconoscere ogni uomo.

La componente cattolica nella sinistra in parte resiste a questa tendenza libertaria. Il partito democratico in difficoltà non può per il momento ridimensionare la componente cattolica (perdere altri voti?), ma la linea di tendenza che pare inevitabile è questa: farsi portavoce in prima istanza delle battaglie per la laicità (o laicismo) e per i diritti civili. Ciò mette in difficoltà i cattolici del centro sinistra. In questo contesto politico nasce il bisogno di mediare fra le diverse componenti del partito democratico e della sinistra in genere, trovando punti di convergenza. Si veda prima il caso del DICO utilizzati come strumento identitario e dopo la vicenda Englaro. In questa luce si spiegherebbe la preferenza di certi temi da parte di quegli intellettuali cattolici che hanno in genere simpatia per quella parte politica o che vedono in essa l’interlocutore per eccellenza dotato tradizionalmente di dignità culturale e l’adozione di un atteggiamento procedurale (carità procedurale?).

In fondo non è strano che anche quando si condividono principi comuni, i giudizi sul particolare siano condizionati dal contesto, da ciò che leggiamo e, soprattutto, da chi stimiamo e consideriamo nostro interlocutore privilegiato. Non a caso il consilium (donde il consiglio da parte di altri) s’identifica nel pensiero classico con il momento della deliberazione che precede la scelta. In sostanza i nostri giudizi, soprattutto su fatti che non ci riguardano in prima persona, su evidenze fenomenologiche che vanno interpretate, sono inevitabilmente condizionati dai contesti culturali che da tempo privilegiamo e che incidono sulla nostra sensibilità morale. Quando giudichiamo non siamo mai soli, siamo sempre “con altri”. La vicenda Englaro insegna.