Difficile distinguere, quando parla un politico, tra le considerazioni di merito e le intenzioni nascoste. Ma quando si tirano in ballo concetti grandi, come la laicità dello Stato, è necessario provare a prendere sul serio le affermazioni, ed affrontarne i contenuti. La laicità in Italia è veramente messa a rischio? Ci sono ingerenze di carattere religioso nella nostra attività legislativa? Secondo Piero Ostellino, editorialista e già direttore del Corriere della Sera, si tratta per lo più di un falso problema.
Ostellino, c’è secondo lei in Italia, come paventato da Fini, un “rischio laicità”, legato a leggi ispirate a «precetti religiosi»?
Non mi pare proprio. Il rischio ci sarebbe in linea teorica, ma solo nella misura in cui la politica non avesse il coraggio di fare quello che fa la Chiesa. La Chiesa, infatti, quando le si chiede qualcosa che essa non può fare risponde “non possumus”; basterebbe che il mondo politico, qualora gli si chiedesse di imporre principi etici alla legislazione dello Stato, rispondesse esattamente allo stesso modo. Ma mi pare che il problema sia un altro, e cioè che qualcuno si sente di utilizzare l’argomento e paventare questo rischio per scopi politici personali.
Quindi Fini starebbe cavalcando una posizione personale col solo intento di smarcarsi da Berlusconi?
Siamo sotto campagna elettorale, e facciamo sempre i conti con la possibilità che si prefiguri una successione – anche se poi non si sa bene quando – di Berlusconi a capo del Pdl. Ci sono persone all’interno dello stesso Pdl, a cominciare proprio dal presidente della Camera, che stanno cercando di darsi una forte visibilità, sia in prospettiva elettorale, sia in vista della successione a Berlusconi. Ed è allora un problema diverso rispetto ai rapporti tra Stato e Chiesa.
Il problema è dunque prettamente politico…
La motivazione di quelle affermazioni da parte di Fini è sicuramente di carattere politico. Che dopo, nel centrodestra come nel centrosinistra, da parte di qualcuno ci sia la convinzione di poter conquistare il voto dei cattolici o il sostegno della Chiesa facendo una politica più fortemente informata ai principi religiosi, questo probabilmente c’è. Ma si tratta di una questione politica che si affronta sul piano politico.
Stando sul merito della questione, in quali termini un cattolico porta in Parlamento la propria posizione senza venir meno al principio di laicità e al rispetto delle posizioni altrui?
Semplicemente facendo il proprio mestiere. Non riesco a capire per quale motivo debba sembrare una cosa scandalosa il fatto che un cattolico, che ha la propria visione del mondo e del Paese in cui vive, dica quello che pensa e lo porti in Parlamento. Ciascuno porta in Parlamento i propri ideali. Basti pensare che ci sono stati dei comunisti, nella storia della Repubblica, che volevano portare in Parlamento la loro concezione politica, che era quella dell’Unione Sovietica. Nessuno se n’era scandalizzato, visto che era loro pienissimo diritto; tanto più allora non capisco perché lo stesso diritto non debba essere garantito a un cattolico. Cattolici che per altro, a quanto è dato di vedere, non mi pare proprio abbiano intenzione di imporre a nessuno lo Stato teocratico.
Secondo lei, per ritrovare l’equilibrio giusto tra le forze cattoliche e laiche, è opportuno ritornare a quello che è stato l’incontro tra le diverse culture da cui è nata la Costituzione?
Bisogna andare molto più indietro. Io, come ho avuto modo di dire più volte, ritengo la nostra Costituzione un “papocchio”, una contraddizione in termini. Siamo l’unico Paese al mondo che è fondato sulla merce, sul lavoro, anziché essere fondato sulla libertà. Dovremmo essere un Paese di democrazia liberale, e invece abbiamo una Costituzione che è il compromesso tra il corporativismo fascista, il collettivismo marxista e una parvenza di solidarismo cattolico. Noi invece dovremmo avere una Costituzione fondata sui diritti naturali soggettivi, che sono quelli che venivano promossi dai monaci benedettini nel Medioevo, dai cristiani, prima ancora che arrivasse il liberalismo di John Locke: principi che attengono alla intangibilità e alla sacralità della persona, che è un principio cristiano. Noi dovremmo fondarci su quello: abbiamo alle spalle una grande tradizione giudaico-cristiana, verso la quale il liberalismo ha un debito sostanziale. A questa tradizione noi dovremmo attenerci; ed è qualcosa che viene ben prima della nostra Costituzione. Anzi, i diritti naturali della persona vengono ben prima della nascita stessa dello stato.
In che modo, dalla Costituzione in poi, si è svolto il rapporto tra cattolici e laici nel Parlamento italiano? È stato un rapporto equilibrato, o secondo lei la parte cattolica ha fatto pesare troppo la propria appartenenza religiosa?
Se c’è un grande movimento cattolico che ha difeso la laicità dello Stato questa è la Democrazia Cristiana. O vogliamo forse negare la nostra storia? Non dimentichiamo che l’uomo della rinascita di questo Paese è stato uno straordinario cattolico liberale che si chiamava De Gasperi. L’intera storia della Democrazia Cristiana è la storia della difesa della laicità in questo Paese. E lo dice uno che non ha mai votato Democrazia Cristiana, e che non è – purtroppo – né un credente, né un cattolico praticante, non sospettabile quindi di particolari indulgenze nei confronti del movimento cattolico italiano.
Insomma: la laicità non è a rischio in Italia.
Fa persin ridere il fatto di ipotizzarlo. Semmai c’è un rischio contrario: l’intrusione dello Stato in questioni che riguardano la coscienza individuale e libertà della persona: questo è il vero pericolo. Se mi è consentito far riferimento al mio ultimo libro, il vero pericolo viene dallo “Stato canaglia”, e non certo dalla nostra tradizione giudaico-cristiana. Quindi si tratta di invertire nettamente i termini della questione rispetto a chi dice di temere per la laicità dello stato.