La proposta di Bossi di eleggere i Pubblici Ministeri non è condivisibile, soprattutto laddove viene proposta solo per quelli veneti e lombardi. Tuttavia, l’ennesima provocazione di Bossi e della Lega (forti dell’ottenuta elezione indiretta dei Vice Procuratori Onorari nel DDL sul codice di procedura penale, in discussione al Senato) ha il pregio di porre l’attenzione su un problema serio: la responsabilità dei magistrati.
La stessa provocazione la fece il Presidente della Corte d’Appello di Milano, dott. Giuseppe Grechi, riportata dal quotidiano La Repubblica del 10.12.2008: «Mi rendo conto di spararla grossa, ..ma credo che a questo punto, bisognerebbe pensare ad una magistratura elettiva. Il grande sogno di Calamandrei di una magistratura impiegatizia, dotata di grandi garanzie, non regge più», indicando la necessità di una svolta radicale in un sistema vicino al collasso.
Proporre l’elezione dei magistrati significa affermare il principio che essi dovrebbero rispondere agli elettori del loro operato: se sbagliano, se non adempiono diligentemente e correttamente la loro delicata funzione, chi li ha eletti sceglierà altri magistrati a servizio dello Stato. È evidente come il sistema elettivo, per la nostra cultura giuridica e sociale, è improponibile: si presterebbe potenzialmente a pericolose “collusioni” (basti pensare ai fenomeni criminali tipici del nostro Paese); tuttavia, come detto, la provocazione denuncia il problema contrario, che può essere altrettanto deleterio: l’assenza di responsabilità in capo ai magistrati.
Molti magistrati, infatti (che per status godono di un’autonomia e indipendenza assolute), pur non essendo rappresentanti di nessuno, se non di se stessi, si prestano frequentemente a utilizzare il loro potere per influenzare le scelte politiche, per criminalizzare questo o quel rappresentante del popolo, per creare diritti, attraverso una giurisprudenza sempre più “creativa” – sfruttando lacune e spazi legislativi – anche in materie delicatissime e fondamentali per la concezione della persona, della vita e dell’assetto politico-sociale della nostra società. Ciò andando oltre la funzione di applicazione della legge loro propria, sostituendosi arbitrariamente al Legislatore, forti delle loro prerogative e arrogandosi un mandato che nessuno ha dato loro.
In questo senso oggi assistiamo a uno “strapotere” della magistratura, avulso da qualsiasi controllo e limitazione: l’insufficienza dell’operato del Consiglio Superiore della Magistratura, che è appunto organo di autocontrollo, è opinione largamente diffusa.
Certamente il problema della giustizia non è solo questo: è tutto il sistema processuale che non funziona; al Governo e al Parlamento, però, è giusto chiedere di aver presenti tutti i fattori del fallimento in atto, se – come più volte annunciato – intende attuare importanti riforme della giustizia (ad oggi, è doveroso constatare che l’ultima riforma – contenuta nel decreto sicurezza – oltre ad essere criticabile sotto molteplici aspetti, è frutto ancora una volta del metodo dell’emergenza).
Il punto della responsabilità della magistratura è un nodo fondamentale di queste riforme e non va trascurato: la posizione dell’Associazione Nazionale Magistrati che, giustificatamente, è stata durissima nei confronti della proposta di Bossi, è in realtà, in generale, la posizione di chi difende su tutti i fronti lo status quo delle prerogative della categoria. In questo è miope e si rivelerà perdente: è venuto il tempo di sperimentare un nuovo assetto della magistratura; lo chiedono i cittadini e lo impone il fallimento del sistema che è sotto gli occhi di tutti.
Riforma del CSM e separazione della carriere non devono più essere considerati dei tabù: ma possono essere i primi passi verso una responsabilizzazione dei magistrati (in particolare dei giudicanti: verso una terzietà reale e rispettata nel comune sentire), che non potrà che elevare il prestigio della magistratura e di conseguenza, unitamente ad altre riforme, rendere più serio ed efficiente il sistema giustizia.