«Responsabilità»: è questo il termine più usato da Monsignor Rino Fisichella per indicare il compito dei cattolici nella società di oggi. Una società, soprattutto quella italiana, segnata da gravi problemi di carattere culturale, morale ed economico.

A Milano per la presentazione del volume di Massimo Camisasca “Don Giussani. La sua esperienza dell’uomo e di Dio”, il rettore della Pontificia Università Lateranense interviene a tutto campo, in questa intervista a ilsussidiario.net, sui principali temi di attualità che in questi giorni concitati stanno animando il dibattito pubblico nel nostro Paese.



Monsignor Fisichella, uno degli elementi essenziali dell’insegnamento di don Giussani, al centro del volume di Camisasca, era il richiamo a una presenza viva dei cattolici nella società, negli “ambienti” come la scuola e il posto di lavoro. Nella particolare condizione che il nostro Paese sta vivendo, che valore ha ancora oggi questo messaggio?



 

È, per diversi motivi, un richiamo di grandissima attualità. Stiamo vivendo un periodo di profonda crisi culturale: noi ora pensiamo al termine “crisi” solo in riferimento alla situazione economica, ma mi pare di poter dire che questa sia conseguenza di una più profonda crisi valoriale. Se determinati principi etici e criteri di adesione alla realtà avessero guidato le azioni di chi ha responsabilità pubblica, noi ora non ci troveremmo in questa situazione. Dunque la presenza dei cattolici si fa ancora più impellente: il loro annuncio deve essere quello di una conversione che spinga tutti a porre il problema del senso della vita al centro delle nostre azioni.



Qual è allora la responsabilità anche politica dei cattolici?

In primo luogo dare seguito a ciò a cui Benedetto XVI ha più volte richiamato noi cattolici, vale a dire la necessità della formazione di una nuova classe dirigente. I cattolici sono sempre stati presenti e attivi in questo senso, a tutti i livelli (politico, sociale, accademico, economico-finanziario); oggi, in una situazione di crisi come quella attuale, questo richiamo deve spingere a una presenza ancor più qualificante.

Entrando nel vivo del problema economico, cui già faceva riferimento, si pone in primo piano il tema del lavoro, richiamato in questi giorni anche dal Cardinal Bagnasco. In che modo i cattolici devono porsi di fronte a questo problema così intimamente connesso al concetto stesso di dignità umana?

 

Il primo compito è quello di prendere coscienza del momento di crisi che stiamo vivendo, e in cui tutti, senza distinzione, siamo coinvolti. Certamente, sul tema del lavoro dobbiamo riconoscere gli sforzi positivi che vengono compiuti da chi nel nostro Paese ha responsabilità pubblica, e in particolare dal ministero competente in materia di welfare. Sappiamo anche che le risorse sono limitate, e che il problema non riguarda solo noi, ma ha una chiara dimensione globale. Questo però non ci distoglie dal dovere di essere coscienza critica, soprattutto perché siamo quotidianamente visitati da situazioni di autentica drammaticità. Quando incontriamo il dramma di chi, magari anche professionista, all’età di 40 o 45 anni, con famiglia, perde il lavoro, comprendiamo chiaramente che il ruolo della Chiesa e dei suoi pastori non può essere solo quello di notificare questa situazione, ma anche di sollecitare chi ha responsabilità pubblica a un’azione efficace per rispondere al problema.

Si parla molto in questi giorni anche di integrazione; e spesso se ne parla come di un processo lontano dal realizzarsi. Tale carenza è secondo lei legata a una nostra immaturità culturale e sociale, o è motivata dal disagio generatosi per i flussi migratori massicci e non adeguatamente regolamentati?

 

I fenomeni legati all’integrazione non si risolvono in modo automatico nel tempo. Basta guardare quello che accade fuori dall’Italia. Pensiamo, ad esempio, a un Paese di grande tradizione come gli Stati Uniti: conoscendo la società statunitense, rimango perplesso quando si dice che lì si è attuata una vera integrazione. Sono state raggiunte tappe significative, certo: ma parlare di vera integrazione tra popolazioni e razze diverse mi pare che non corrisponda alla realtà. Lo stesso vale per la Gran Bretagna. Io credo, dunque, che non si debba fare dell’integrazione un nuovo mito della società moderna.

Eppure, anche solo da un punto di vista economico e lavorativo, l’immigrazione, e la conseguente esigenza di integrazione, sono elementi irrinunciabili.

C’è sicuramente una naturale ricerca di lavoro, nonché una rincorsa a raggiungere condizioni di vita che diano maggiore soddisfazione. Un desiderio importantissimo, che riguarda la dignità stessa della persona. Ma a questa ricerca di maggior benessere non corrisponde immediatamente il concetto di integrazione: sarebbe una lettura culturalmente superficiale. Perché ci sia integrazione, infatti, è necessario che ci sia da parte nostra un’offerta di valori e di cultura. Integrare significa essere propositivi, avere una forte identità, proporre non solo la conoscenza della lingua ma anche il patrimonio culturale che costituisce il nostro essere italiani. Pensare, in un momento di crisi, alla semplice immigrazione come panacea di tutti i mali mi sembra una visione alquanto riduttiva del problema.

Cambiando argomento, ma rimanendo ancora nella stretta attualità: in questi giorni si parla molto di “questione morale” in seguito al susseguirsi di notizie e pettegolezzi intorno al mondo della politica. Cosa pensa del comportamento dei media nell’affrontare questo tema così delicato?

Io penso che ci sia in Italia una tradizione giornalistica diversa da quella degli altri paesi, meno legata al cosiddetto “gossip” e più votata a una grande capacità critica e di spinta alla riflessione e alla lettura lungimirante degli eventi. Penso che sia bene continuare a rispettare questa tradizione, senza cadere nella trappola di chi rincorre la semplice curiosità della gente.

Però non si tratta solo di un generico “gossip”, ma da parte dei giornali viene proposta ai lettori una vera e propria questione morale che chiama in causa il mondo politico.

Più che “proposta” mi sembra che sia “imposta”. Comunque, non si pone la questione morale sulla base di un pettegolezzo. Col termine di “questione morale” si intende qualcosa di molto serio e profondo, da riservare a spazi coerenti di riflessione. Non la si può mischiare al desiderio, diciamolo pure, un po’ pruriginoso di novità, senza che vi sia alcuna condizione di verifica.

Eccellenza, un’ultima riflessione sull’imminente scadenza delle elezioni europee. Un appuntamento politico, ma anche culturale. Come i cattolici devono affrontare questa particolare circostanza elettorale?

Con grande senso di responsabilità. Non dimentichiamo che l’80% dell’attività parlamentare consiste nel far diventare legge quello che viene deciso in Europa. Questo aumenta la responsabilità di quanti, cattolici e no, hanno a cuore la sorte della nostra società nel prossimo futuro. L’Europa oggi vive un momento di forte contrapposizione valoriale rispetto alla proposta del cristianesimo, che costituisce – piaccia o no – l’identità e la radice dell’Europa stessa. Quindi è inevitabile che i cattolici debbano sentire un forte senso di responsabilità. Innanzitutto come partecipazione; in secondo luogo, per fare in modo che quanti vengono eletti al Parlamento europeo possano essere portatori di quei valori di cui l’Europa deve non solo fare memoria storica, ma che deve anche assumere come fondamento di una capacità propositiva per le nuove generazioni.

 

(Rossano Salini)