Non c’è che dire: la berlusconizzazione dell’Italia è cosa (quasi) fatta. Parola dell’Economist, che deve aver un po’ sofferto, ammettendolo, dopo aver gratificato il Cavaliere del termine “unfit”, inadatto a governare. Eravamo nel mezzo del primo quinquennio di governo berlusconiano (2001-2006) i cui chiaroscuri avevano condotto alla sconfitta, sia pure di misura, da parte della coalizione di Prodi. Ma, per una sorta di contrappasso, è proprio da quella battuta d’arresto – peraltro sottolineata dalle ironie mediatiche nazionali e internazionali – che il berlusconismo è ripartito. La perdita del governo si è trasformata in un’opportunità, per il Cavaliere, e in una incredibile debacle per Prodi, cioè per la sinistra intera, nonostante Veltroni.
Il rovesciamento delle situazioni non è dovuto al caso, cioè alla fortuna, alla sorte. La sinistra ha perso ed è diventata minoritaria persino nel mondo del lavoro, come ci ha segnalato l’ultimo sondaggio del Sole 24 ore, perché si era illusa di battere il centro destra sull’onda dell’antiberlusconismo come collante e non sulla base di un programma credibile e riformista (Prodi non era riuscito nemmeno a togliere le montagne di rifiuti dalla Campania dominata dalle sinistre da 15 anni). Non solo ha perso nel 2008, ma ha continuato a scendere in picchiata, dall’Abruzzo travolto dalla questione morale alla Sardegna di Soru e così via. La ragione sta, soprattutto, nella mancata riflessione sulla entità della sconfitta del 2008, sulle ragioni profonde di una non politica, sulla perdita di consensi in settori “chiave” della società, non ultimi i lavoratori, sulla palla al piede rappresentata dal caudillo Di Pietro che, come il cane che morde la mano al padrone, s’è rivoltato contro il Pd sperando di svuotarne il bacino elettorale, posto che alla estrema sinistra non c’è più trippa per gatti.
Il Pdl è maggioritario fra i lavoratori e insieme alla Lega super il 50 %, mentre il Pd è al 26%. I dati del sondaggio parlano da soli, anche se si tratta di tendenze, ma la stella del Premier continua ad emettere raggi potenti, dopo aver brillato prima a Napoli e poi all’Aquila, e pur leccandosi le ferite divorziste. E continua a primeggiare nella politica anche nel suo cotée laburista. Il che significa che non solo è vera la tesi di Brunetta secondo cui il Pdl è il vero centrosinistra grazie a federalismo e lotta riformista al fannullonismo, ma che si è aperto un lungo ciclo storico politico sotto il segno di Berlusconi, analogo a quello degasperiano (centrista) nel dopoguerra o tatcherian-reaganiano negli ’80.
Certo, il Cavaliere ha fortuna anche in mezzo alla crisi economica, con una simile opposizione, balbettante, incerta, ondeggiante e sull’orlo di una crisi di nervi (di una scissione?). Ma la fortuna, si sa, aiuta gli audaci, i tipi come lui, quelli che trasformano le sconfitte in occasioni di rilancio e sanno coniugarsi con gli elettori grazie ad un linguaggio semplice, affabulante, seducente, diretto, chiaro, mediaticamente insuperabile. Su quel piano, la sinistra perderà sempre, come dimostra la meteora veltroniana.
Ma non è solo grasso che cola. Il Nord, il Paese che produce, quello che Formigoni chiama la locomotiva del Paese, è saldamente in pugno a Pdl e Lega. Il Pd è tagliato fuori, gli manca un Tremonti, per dire. In compenso, la partita si giocherà all’interno della maggioranza, fra Berlusconi e Bossi, con una posta altissima: il Nord. Chi lo conquisterà, comanderà nel Paese. Parola di Cattaneo (Carlo).