Nestor Kirchner, l’ex presidente argentino, ha chiesto alle forze del paese il pieno supporto alle prossime elezioni legislative del 28 di giugno per la moglie, l’attuale presidente, Cristina Fernández de Kirchner. «Torneremo, in caso contrario, alla crisi del 2001», ha dichiarato.

Una minaccia per nulla velata quella del PJ, il partito peronista, l’unico in grado di canalizzare i voti nella limitata democrazia di questo paese, in cui altri partiti non trovano espressione o supporto. La Banca mondiale ha recentemente dichiarato che il Pil dei paesi dell’America Latina cadrà dello 0,6% nel 2009, sottolineando però che l’Argentina – come il Brasile, il Cile e il Perù – gode di un posizionamento internazionale più favorevole, con mercati maggiormente diversificati, e non soffrirà in maniera drammatica della crisi economica generate dal “gran vecino del Norte”, gli Stati Uniti.



In parte anche perché la crisi ha minori ripercussioni in un paese in cui prodotti finanziari tossici non sono quasi penetrati grazie alle dimensioni ridotte di questo mercato. Nonostante questo i ben noti problemi strutturali del paese iniziano a riemergere, con grave preoccupazione sia per la cittadinanza sia per le forze partitiche.



Il regno della Presidenta Fernández non è stato finora glorioso, in particolare nella gestione della crisi economica. L’inflazione sta crescendo da un anno a ritmi sostenuti senza che il governo ne dichiari la reale entità. Benché ci sia stato un leggero adeguamento dei salari, in particolare per gli operai sostenuti dalla CGT (Confederación General del Trabajo), la situazione preoccupa la classe media, e la marginalità è in aumento, come ha recentemente segnalato il BID (Banco Interamericano de Desarrollo).

I consumi si sono quindi contratti, generando un calo del 4,3% solo nell’ultimo mese. In particolare si denuncia un calo nel comparto alimentare. L’Argentina è in piena stagflazione. La produzione manifatturiera è caduta nel mese di febbraio del 12,2% secondo gli industriali della UIA (Unión Industrial Argentina), mentre secondo il governo l’analisi sarebbe errata e il rallentamento non sarebbe così drammatico.



Il settore industriale denuncia il calo di produzione di automobili (-55,7%) e di metalli di base (-34,9%), due dei settori che in Argentina contribuiscono di più alla crescita industriale, e per questa ragione ha chiesto e ottenuto un incontro con Fernández dove si è discusso del «mantenimento dei livelli di produzione e di impiego nel paese».

Dall’altro lato, nel paese benedetto dalla terra più fertile del mondo, la Sociedad Rural, che rappresenta il settore agricolo e zootecnico, ha espresso scontento per l’operato della Presidenta, in particolare per l’aumento delle imposte sulla produzione, ritenute non eque, a questo settore. Lo scorso anno le proteste si sono fatte sentire in tutto il paese, con blocchi alle principali vie di comunicazione. I benefici che gli agricoltori stavano ottenendo grazie all’aumento del costo delle materie prime a livello internazionale dovevano essere maggiormente redistribuiti, secondo la vecchia logica peronista.

Ma gli argentini non sembrano più disposti a riporre fiducia nel sistema paese. La dichiarazione, da parte del governo, della nazionalizzazione dei fondi pensione nel novembre 2008 ha prodotto un’immensa fuga di capitali dal paese. L’Argentina crescerà quest’anno, grazie al settore agricolo, più del 6%, mentre lo scorso anno è cresciuta del 7% e negli ultimi cinque anni ad un tasso medio dell’8,3%. Ritmi “cinesi” che fanno pensare che la crisi non sia solo economica. E non è da confondersi con quella internazionale.

Si tratta di una disfatta che prima che economica è politica e morale, e si genera in un paese in cui la sfiducia nelle istituzioni è un dato di fatto, almeno dalla famosa crisi del 2001. C’è da chiedersi se il sistema di potere creato dal matrimonio Kirchner possa reggere, con o senza minacce, ai continui attacchi da parte dei settori chiave del paese.

La società civile, intanto, boccheggia e si prepara a pagare le conseguenze della gestione della sua classe dirigente che, di fatto, promana dall’Argentina stessa.