Con l’offerta di un ramo di ulivo ai pro-life nel suo discorso a Notre Dame, il presidente Obama è parso superare il primo importante esame da parte dei cattolici. Con la nomina presso il Vaticano di un inviato immune da contrasti con i vescovi sull’aborto ha in effetti superato un secondo esame. Di più, nominando un ispanico ha dimostrato di aver ben compreso i cambiamenti demografici in corso tra i cattolici americani, per cui la scheda di Obama sembra fino a qui piuttosto buona, tenendo conto che è un Democratico pro-choice e non cattolico.



Mercoledì scorso, la Casa Bianca ha annunciato la nomina di Miguel Diaz , 45 anni, professore di teologia al College di S. Benedetto e alla St. John University, come ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede. Diaz è nato a Cuba, che ha lasciato con la sua famiglia quando aveva otto anni per stabilirsi a Miami, e ha radici nella classe operaia: suo padre era un cameriere, sua madre una sarta. Se la sua nomina verrà confermata dal Senato, il suo primo compito sarà organizzare un incontro tra Obama e il Papa durante la riunione del G8 in Italia il prossimo luglio.



Le prime reazioni vaticane sembrano positive. In un’intervista all’Ansa, l’Arcivescovo Sambi, Nunzio apostolico negli Usa, ha definito la nomina «l’eccellente scelta di una persona che conosce molto bene sia gli Stati Uniti che la Chiesa cattolica», aggiungendo che come immigrato cubano Diaz «è un buon rappresentante dei cattolici americani di lingua spagnola».

Ciò non significa, ovviamente, che la scelta sia del tutto immune da possibili critiche. Diaz ha fatto parte di un comitato di consiglieri cattolici per Obama durante la campagna elettorale e ha firmato, recentemente, una lettera a sostegno della nomina di Kathleen Sebelius al ministero della Sanità, malgrado sia una sostenitrice del diritto all’aborto. Una testata cattolica conservatrice ha così definito la nomina: «Il primo rimborso dell’amministrazione Obama ai cattolici che hanno sostenuto senza condizioni le sue politiche e le sue nomine». Anche l’entusiasmo con cui la nomina è stata accolta tra i sostenitori cattolici di Obama ha suscitato qualche preoccupazione nei circoli conservatori.



Diaz è però descritto dai suoi colleghi come decisamente pro-life e non è mai stato tra i cattolici che appoggiano un approccio “soft” al problema dell’aborto. In questo senso, nessuno nel Vaticano può giudicare questa nomina provocatoria ( Roma può avere semmai preoccupazioni sul peso politico reale di Diaz all’interno dell’Amministrazione, e questo rimane da vedere.)

Qualche cattolico può anche essere messo in allarme dalla passione di Diaz per la teologia sudamericana della liberazione, bestia nera della destra cattolica negli anni ’70 e ’80 per le sue affinità con il marxismo e la lotta di classe. In realtà, nei suoi scritti Diaz distingue tra “la scelta preferenziale per i poveri” in America Latina e “la scelta preferenziale per la cultura” nella teologia ispanica negli Stati Uniti, centrata sulla sopravvivenza di una identità latinoamericana.

In ogni caso, Diaz non può essere definito un radicale, non ha mai difeso la rivoluzione armata o appoggiato una “Chiesa dal basso” opposta alla gerarchia, ma ha posto l’accento sull’importanza della comunità, soprattutto per quanto riguarda le lotte degli immigrati. In un suo scritto ha coniato le frase «al di fuori della sopravvivenza della comunità non vi è salvezza», richiamando la massima tradizionale extra ecclesiam nulla salus.

La questione centrale è quale forma prenderà la permanenza di Diaz a Roma. La caratteristica principale di un ambasciatore presso la Santa Sede è che il suo compito riguarda soprattutto le “idee”, dato che ben poco ha a che fare con questioni pratiche come relazioni commerciali, questioni di sicurezza, visti, etc. Un compito adatto, quindi, ad un accademico, e sono almeno quattro le aree nelle quali la nomina di Diaz apre possibilità di collaborazione tra Vaticano e Usa.

Immigrazione. Diaz ha fatto dell’immigrazione un tema chiave del suo lavoro teologico, sviluppando, ad esempio, una teologia della comunità contro ciò che definisce «paura e rifiuto degli altri», come «le proposte di legge per fare dell’inglese la lingua ufficiale degli Stati Uniti, la crescita dei vigilantes in Arizona per controllare le frontiere con il Messico, e diversi atti contro le comunità di immigrati o i cosiddetti “alieni”, come i musulmani che vivono nel paese». La riforma della legislazione sull’immigrazione è anche una priorità dei vescovi americani e del Vaticano, in parte per ragioni di giustizia sociale, in parte perché la componente cattolica è particolarmente forte tra i nuovi immigrati.

L’immigrazione è così un tema su cui le posizioni di Obama e del Vaticano possono essere vicine e non serve molta fantasia per pensare che questo sarà un punto cruciale per il primo ambasciatore ispanoamericano presso la Santa Sede.

Cuba. Il profilo di Diaz tra i cubani negli Usa sembrerebbe interessante: non ha mai fatto parte della comunità di esuli ferocemente anticastristi, ma non riflette neppure la posizione dei cubani di seconda generazione che spesso fanno perfino fatica a capire quale sia il problema. Il suo arrivo a Roma avviene in un periodo in cui sia Obama che il Vaticano stanno dimostrando un acuto interesse ad un cambiamento nei rapporti con Cuba, che sta dando apparentemente timidi segnali di apertura. La Santa Sede ha molto interesse a capire dove questo possa portare, data anche l’influenza di Cuba su buona parte dell’America Latina e i diplomatici vaticani sono senza dubbio ansiosi di ascoltare quanto Diaz ha da dire in proposito.

Solidarietà Nord-Sud. In vista del Grande Giubileo del 2000, Giovanni Paolo II definì il raduno dei sinodi dell’America del Nord, Centrale, del Sud e Caraibica come “Il Sinodo dell’America”, con un uso voluto del singolare, a significare la spinta ad un unico continente unificato e integrato. Benedetto XVI ha rivolto un invito simile durante la visita in Brasile nel 2007 per l’assemblea del CELAM ad Aparecida. La biografia e gli interessi teologici fanno di Diaz un interlocutore interessante per la Santa Sede sulla solidarietà Nord-Sud, sia nel campo ecclesiastico che sociopolitico. Date le radici cubane e la conoscenza dello spagnolo, Diaz potrà svolgere un notevole lavoro di relazione con gli ambasciatori latinoamericani in Vaticano.

I cambiamenti demografici. Già di per sé, un ispanico che rappresenta un presidente afroamericano dà a Roma il messaggio su come stia cambiando la faccia dell’America. Per quanto riguarda i cattolici, Diaz porta in sé il maggior cambiamento demografico in atto nella Chiesa oggi, sia negli Stati Uniti che a livello globale, dove ormai i due terzi dei cattolici vivono nel Sud del mondo, e il 40% nella sola America Latina. Negli Usa, si stima oggi che un terzo dei cattolici sia costituita da ispanici e, secondo il Pew Forum, verso il 2020 i cattolici bianchi non saranno più la maggioranza. Diaz potrà aiutare il Vaticano a capire le conseguenze di questi trend e potrà fare da ponte tra questi segmenti cattolici e la Santa Sede, oltre che aiutare a comprendere i risvolti nella vita politica, nelle relazioni estere, nei modelli culturali, e via dicendo.

Nell’insieme, l’impressione è che Diaz e i suoi corrispondenti in Vaticano avranno molto di cui parlare, oltre i tradizionali argomenti quali aborto e gli altri temi relativi alla vita. Se Diaz si dimostrerà creativo nel cogliere queste opportunità, sarà una storia affascinante da seguire.

Published on National Catholic Reporter

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