Una doppia pacca sulla spalla e un saluto: «E’ bello rivederti, amico mio». Si è rotto così il ghiaccio fra il padrone di casa, Barack Obama, e il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ricevuto ieri pomeriggio (le 22 in Italia) alla Casa Bianca. Incontro molto atteso da entrambi. Obama voleva capire Berlusconi, il premier cercare di rafforzare un’alleanza, quella fra Usa e Italia, sempre solida ma che in questi primi mesi di presidenza democratica ha visto qualche sussulto. Nei giorni scorsi i portavoce di Palazzo Chigi hanno premuto sul fatto che Berlusconi è il secondo leader europeo, dopo Gordon Brown, a essere ricevuto alla Casa Bianca. Un modo per far risaltare che fra il premier e Obama non ci sono dissapori, che la sgraziata battuta sul “presidente abbronzato” non ha lasciato strascichi. Il presidente del Consiglio, tuttavia, è anche uno degli ultimi leader della Ue che conta ad avere un faccia a faccia con il presidente americano.



La visita era insolitamente molto attesa anche dalla stampa americana, concentrata più che sui temi politici sul calderone di guai giudiziari, gaffes e scandali che ha segnato le ultime settimane di Berlusconi. Non per niente Mark Halperin, principe dei notisti politici Usa e giornalista del Time, sul suo blog (The Page) vero e proprio “must” per chi segue le vicende della Casa Bianca, aveva titolato l’arrivo di Berlusconi sotto un “should be fun”, (dovrebbe essere divertente).



Berlusconi è sbarcato a Washington (da dove è ripartito ieri in serata dopo aver incontrato la speaker della Camera Nancy Pelosi) con una valigia piena di dossier. Su tutti il G8 con il suo carico di temi, economici e politici, diplomatici e di sicurezza. Di questo hanno parlato le delegazioni. Per prepararsi al meglio Berlusconi ieri ha trascorso la mattinata con l’ambasciatore italiano a Washington Giovanni Castellaneta e ha ripassato il programma: Afghanistan, G8, Guantanamo, ambiente, questioni economiche, oltre che lo stato delle relazioni bilaterali.

Il faccia a faccia è durato due ore e un quarto, ben oltre quindi il programma. E in conferenza stampa Berlusconi e Obama sono apparsi soddisfatti e rilassati. Il presidente statunitense ha ringraziato l’Italia per «l’impegno cruciale» in Afghanistan e per la promessa del capo del governo di accogliere tre detenuti tunisini di Guantanamo sul suolo italiano. Proprio sull’Afghanistan resta confermato l’impegno italiano ad aumentare di 500 uomini il contingente in occasione delle elezioni a Kabul del 20 agosto. Se la presenza di più soldati si protrarrà però non è stato deciso. Vi sarà anche una riduzione dei “caveat” e la promesse di essere subito operativi in conflitto (non più le 6 ore di attesa dopo la chiamata del comando centrale). In cambio l’Italia avrà un maggiore accesso a informazioni d’intelligence militare. Ma la questione non è stata toccata in conferenza stampa.



«Vogliamo essere in prima fila, anzi il primo Paese che dà una mano per la necessità di chiudere quel carcere», ha precisato invece Berlusconi su Guantanamo.

«Siamo partiti bene», ha detto il presidente del Consiglio. «Abbiamo cominciato bene», ha replicato Obama aggiungendo di aspettarsi dal «presidente Berlusconi la sua opinione franca e onesta». Ed anche i consigli sulla Russia. Tema questo considerato fra quelli delicati alla vigilia. Obama, dicono alcune fonti, non aveva gradito il tentativo italiano di avere un ruolo di solitario mediatore con il Cremlino. Ieri invece davanti ai giornalisti il leader statunitense ha sottolineato di essere disposto ad «accogliere i consigli» del collega italiano sulla Russia visti «i legami con Putin».

Le relazioni insomma fra Usa e Italia sono solide e godono di ottima salute. Era questo in fondo l’obiettivo di Berlusconi, che non ha mancato di dire di augurarsi di poter instaurare con Obama un «rapporto di profonda amicizia come quello che lo legava a George W. Bush». «Apre il cuore – ha detto il capo del Consiglio – vedere che le sorti della più grande democrazia del mondo sono assolutamente in buone mani». «Sono legato ad un giuramento di riconoscenza verso gli Usa – ha aggiunto Berlusconi – che hanno restituito la libertà al mio paese dopo la Seconda Guerra mondiale. Sono qui a collaborare con il presidente Obama come ho fatto con Clinton e con Bush».

Piena disponibilità anche dal capo della Casa Bianca. Ha aperto la conferenza stampa con un buonasera, l’ha chiusa dicendo grazie in italiano consentendosi anche una battuta, rivolta alla brava interprete, su come «suonano bene le sue parole in italiano». Il leader statunitense ha elogiato il presidente del Consiglio: «Personalmente a me il presidente Berlusconi piace, a prescindere dal fatto che i nostri due popoli si amano profondamente da tempo e condividono valori e i ideali».

Berlusconi ha illustrato nei dettagli anche l’agenda del G8 di L’Aquila. Non sarà quello il luogo dove riscrivere un corpus di regole per evitare che il tracollo finanziario si ripeta. Ma si getteranno le basi per il G20 di Pittsburgh, in settembre. Un cenno anche allo stallo dei negoziati di Doha (sul libero scambio), alla sicurezza alimentare, a clima, e disarmo. Questioni sfiorate, almeno ufficialmente, e che saranno approfondite nella tre giorni in Abruzzo.

E fuori dall’agenda, almeno ufficialmente, sono rimasti due temi scottanti. Washington non ha reagito bene alla visita e all’attenzione riservata dall’Italia a Gheddafi. Che l’alleato italiano fornisse un palcoscenico al leader libico è apparso “pazzesco” al Dipartimento di Stato. Altra questione delicata, l’Iran. Obama ieri ha ricordato, e Berlusconi ha condiviso, che ogni Paese ha il diritto ad eleggere i suoi leader. Anche se il presidente statunitense non ha dimenticato di esprimere preoccupazione per la situazione nella Repubblica islamica. Il problema è che l’America deve mettere a punto la sua strategia verso Teheran. In cima alle preoccupazioni Usa ci sono il nucleare e il sostegno iraniano al terrorismo. Su questi temi Obama è pronto e apertissimo a discutere con gli alleati europei e trovare una linea d’azione. Non divide, come faceva Bush, gli alleati in “amici” e “ostili”, a seconda di chi sta alla guida. Ma pretende che una volta indicata la strada, nessuno sgarri, nessuno esca dai binari. Ecco perché la visita del ministro Frattini a Teheran prima annunciata a sorpresa e poi cancellata all’ultimo istante tre settimane fa, ha irritato Washington.

Ma a giudicare dai sorrisi, dalle parole di gratitudine, di amicizia ascoltati in conferenza stampa, questi temi, se sono stati affrontati, non hanno lasciato grandi strascichi. L’intesa sull’asse Roma-Washington è solida. Con buona pace di chi aveva parlato di freddezza.