Il 6 e 7 giugno il Partito democratico non è crollato come alcuni temevano. Ciononostante l’arretramento rispetto alle politiche di un anno fa è pesante, e l’esito del voto recente non ha fatto che acuire le tensioni interne al partito. Incombe la scadenza del congresso a ottobre, e mentre passa il tempo risulta sempre meno chiaro quale sia la linea maggioritaria all’interno del partito. Addirittura non è chiaro se il Pd rimarrà tale, o muterà per lasciare spazio a formazioni e alleanze nuove.



Enrico Letta, appartenente all’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà, è certamente una delle massime espressioni dell’ala “riformista” del centrosinistra. E non nasconde il fatto che l’esito dei ballottaggi possa essere molto importante per delineare la fisionomia futura del suo partito.

Letta, alla luce della situazione creatasi dopo il voto del 6 e 7 giugno, e delle sempre maggiori tensioni all’interno del Pd, qual è per voi il significato politico dei prossimi ballottaggi?



Sicuramente l’esito dei ballottaggi di domenica e lunedì prossimi possono avere un significato molto importante e influire su quello che sarà il futuro del centrosinistra. Il fatto di riuscire ad avere un recupero e di ottenere un risultato importante per il Partito democratico implicherebbe una cosa fondamentale: mantenere alcuni importanti sindaci e presidenti di Provincia soprattutto nel Nord del Paese, ed evitare o quanto meno cercare di superare quella logica e visione limitante del Pd come “partito degli Appennini”, con un peso significativo solo in alcune regioni storicamente di sinistra. In questo senso, dunque, dico che si tratta di un voto importante, con un suo significato politico capace di influire sulla configurazione stessa del Pd del futuro.



Quindi ritiene che in un certo senso si possa considerare prevalente il valore politico rispetto a quello amministrativo?

Dico semplicemente che il significato politico c’è, e che tale voto può essere utile in un momento in cui il dibattito che attraversa il Pd è importante e decisivo. Detto questo, però, non vorrei nemmeno enfatizzare la cosa: i ballottaggi, in termini molto concreti, decidono quello che dovrà accadere nelle città e nelle province. Per il resto, in buona parte il risultato elettorale è già stato espresso, e quindi il voto di domenica prossima si colloca in un contesto che già comunque si è abbastanza chiarito l’8 giugno.

Una delle piazze più importanti nei prossimi ballottaggi è sicuramente quella di Milano: a prescindere da quello che sarà l’esito, che valore ha per voi il modello-Penati?

Direi che l’esito è molto importante, e credo che il Pd si giochi una partita decisiva nell’accoppiata Milano-Padova. Da lì può venire la dimostrazione che il Partito democratico può svolgere nel Nord del Paese un ruolo decisivo, esprimendo figure di sindaci e di presidenti di Provincia capaci di governare e di riguadagnarsi la fiducia dei cittadini. Se questo non avvenisse, naturalmente, sarebbe una dato molto negativo per noi.

Domenica e lunedì si vota anche per il referendum: qual è la sua posizione?

Io non andrò a votare al referendum per un motivo molto semplice: il Popolo della Libertà ha assunto una posizione di totale indisponibilità a cambiare la legge elettorale in Parlamento. Stando così le cose, risulta assolutamente impossibile l’eventualità di un risultato positivo del referendum stesso, il quale dovrebbe poi portare a una modifica delle legge elettorale, da attuare però in Parlamento. Se la posizione della maggioranza venisse confermata, come mi pare Berlusconi abbia fatto, sarà allora assai difficile che ci possa essere un voto utile.

Ma se così non fosse, lei sarebbe favorevole alle motivazioni dei referendari?

Il referendum è utile per obbligare il Parlamento a cambiare la legge; ma nel momento in cui la maggiore forza politica non volesse e non vuole farlo, il referendum diventa una cosa negativa.