Mercoledì migliaia di persone hanno sfidato il divieto di manifestare imposto dal regime iraniano per protestare contro l’ennesima provocazione della Guida Suprema l’Ayatollah Khamenei che ha dichiarato che “non ci sarà nessun annullamento del risultato delle elezioni” e che “né il ceto politico né la Nazione cederanno mai a qualunque pressione.”



Il giorno dopo le dure condanne dell’amministrazione americana per le violente reazioni del regime contro i manifestanti, la repressione per le strade di Teheran continua senza sosta. I manifestanti dell’Onda verde, il movimento di protesta, che si era dato appuntamento di fronte al Parlamento sono stati attaccati dalla polizia e dalle milizie paramilitari. Non si conosce il numero esatto dei morti, data la censura su tutti i media, ma le testimonianze trapelate grazie ai social network parlano di un bagno di sangue. Per oggi è prevista un’altra manifestazione a Teheran indetta dal leader dell’opposizione Moussavi per ricordare tutte le vittime, mentre il carismatico Ayatollah Montazeri, vicino all’opposizione, ha indetto tre giorni di protesta. Ad oggi gli arresti sono saliti a duemila, tra cui 102 politici, 23 giornalisti, 79 studenti universitari e sette sono le facoltà universitarie completamente chiuse.



Ilsussidiario.net ha intervistato sulla situazione e i suoi possibili sviluppi il dottor Emanuele Ottolenghi, esperto d’Iran e autore per Lindau del saggio di successo “La bomba iraniana. Che ne sarà del mondo se l’Iran disporrà di armi nucleari e che cosa può fare l’Europa per impedirlo?”.

Dottor Ottolenghi lei è un profondo conoscitore della situazione iraniana. Esistono dei paralleli tra la rivoluzione iraniana del 1979 e la situazione di oggi?

Esistono dei paralleli nel senso che stiamo assistendo a una mobilitazione popolare senza precedenti contro il regime. I paralleli però si fermano qua. Nel 1979 la rivoluzione iraniana riuscì a rovesciare il regime dello Scià grazie a tre fattori che oggi mancano. La presenza di un leader carismatico, la presenza di un’ideologia coerente e alternativa che ispiri le masse e il sostegno, critico per il successo o il fallimento del cambiamento in Iran, da parte dei bazari (commercianti, ndr) e del clero, presente nella rivoluzione del ’79 ma non necessariamente oggi.



É possibile un intervento dall’Iraq dell’Ayatollah Alì Al Sistani, la voce più autorevole e rispettata tra gli sciiti di tutto il mondo, nella situazione iraniana e in che direzione andrebbe?

No, non credo che questo sia possibile e comunque non credo che un’autorità religiosa esterna possa oggi come oggi cambiare le cose.

In questo momento ci sono delle speranze per l’opposizione al regime di riuscire a prevalere?

É molto difficile che il movimento di protesta popolare possa farcela. L’unica speranza è che all’interno della milizia rivoluzionaria, i pasdaran e i basiji, si crei una spaccatura tale per cui alcuni settori si rifiutino di continuare a perseguitare la popolazione. In Iran non c’è solo l’esercito a svolgere una funzione repressiva, ma anche le guardie rivoluzionarie. Come esiste un’aviazione dell’esercito esiste una specifica aviazione delle guardie e lo stesso vale anche per la marina. Solo se la repressione dovesse fallire allora il regime crollerebbe.

L’immagine della Guida Suprema Kamenei e del presidente Ahmadinejad, i leader fondamentalisti iraniani, verrebbe ridimensionata se dovessero rimanere al potere?

Tutt’altro. La posizione di Ahmadinejad e Kamenei risulterebbe rafforzata. Il Presidente e la Guida Suprema sono riusciti a spezzare le reni dell’opposizione che è venuta allo scoperto. Quello che è successo è stato un colpo di Stato contro l’opposizione. La vittoria di Ahmadinejad è stata sostenuta a spada tratta e ora potrà governare senza problemi, manu militari. Gli eventi degli ultimi dieci giorni rappresentano sostanzialmente il consolidamento della struttura del potere che si è venuta a creare negli ultimi dieci anni e che comporta uno spostamento del baricentro del potere dal clero alle guardie rivoluzionarie di cui Ahmadinejad è la più autentica espressione politica. Se non si riflette su questo non si capisce perché Kamenei si è potuto permettere di proclamare Presidente Ahmadinejad con un broglio elettorale così evidente. Ora chi si oppone al risultato delle elezioni si oppone alle stesse fondamenta dello Stato e quindi deve essere represso.

Qualora si ipotizzasse un altro scenario, Moussavi condurrebbe una politica estera differente da quella di Ahmadinejad? In particolare cambierebbe l’attuale politica iraniana dei finanziamenti ai gruppi terroristici di Hezbollah e Hamas?

Non ci sono differenze se non di stile tra Moussavi e Ahmadinejad. Mi spiego. Hamas è entrato nell’orbita iraniana solo nel 2004, ma Hezbollah è stato uno strumento del regime iraniano durante tutta la stagione riformista di Khatami (il Presidente moderato in carica dal ’97 al 2005). Dunque non illudiamoci che Moussavi sarebbe stato molto differente dall’attuale Presidente. Aggiungo che Moussavi in campagna elettorale non ha criticato Ahmadinejad sulla questione del nucleare sostenendo che le sue priorità fossero sbagliate. Se ci fossero state sostanziali differenze tra i due candidati, Moussavi avrebbe potuto criticare Ahmadinejad ritenendo il suo programma nucleare non fondamentale e proponendo di riammodernare il sistema energetico iraniano. Moussavi avrebbe potuto proporre di aprire il più possibile il Paese alle ispezioni della IEA (International Energy Agency) così da garantire l’uso a scopo civile del programma. Niente di tutto questo. Invece, come elemento in suo favore, il leader dell’opposizione ha ricordato che, durante la presidenza di Khatami, l’Iran poteva arricchire il suo uranio e portare avanti il suo programma missilistico senza problemi. Sostanzialmente ha inteso dire che intendeva perseguire gli stessi programmi di Ahmadinejad, ma in modo che l’occidente non gli desse fastidio.

Il primo ministro d’Israele Netanyahu ieri ha scelto l’Italia come prima tappa del suo tour europeo. Netanyahu, incontrando ieri il Ministro degli Esteri Frattini e il Presidente del Consiglio Berlusconi, sapeva di poter trovare nell’Italia un valido alleato e ha chiesto che al G8 dell’Aquila venissero messi all’ordine del giorno il problema del nucleare iraniano e le sanzioni economiche contro l’Iran. Come farà l’Italia a conciliare i suoi interessi economici in Iran e l’alleanza con Israele?

Semplicemente l’Italia continuerà ad essere il primo partner europeo nel commercio verso l’Iran per un fatturato di quattro miliardi di euro. Del resto, è quello che è successo negli ultimi due anni. Con Berlusconi, l’Italia non ha certo abbandonato il mercato iraniano in ossequio alle sanzioni internazionali o per il pericolo rappresentato dal nucleare iraniano. L’Italia ha continuato a stringere affari con Teheran in maniera sostenuta e, a dispetto delle sanzioni, il volume degli affari non si è ridotto considerevolmente. A testimonianza di questo, il fallimento della visita di Frattini a Teheran è stata un’occasione di grande imbarazzo per la diplomazia italiana, così come l’invito al ministro iraniano Mottaki di partecipare al G8. La dignità e l’imperativo morale di fronte alla repressione in atto in Iran avrebbero dovuto far cancellare l’invito e invece si è dovuto ricorrere all’escamotage diplomatico di dichiarare che l’Iran non parteciperà alla conferenza perché non ha risposto all’invito.

Lei che soluzioni proporrebbe per uscire da questa situazione in cui l’Iran rappresenta una minaccia internazionale?

La mia ricetta è semplice. A livello simbolico dobbiamo trattare l’Iran come la vera natura del suo regime merita. Escluderli dai forum internazionali, isolarli e rendere la vita della diplomazia iraniana il più difficile possibile. Dal punto di vista sostanziale, un round di sanzioni economiche durissime da imporre al regime anche a livello europeo.

(Mattia Sorbi)