Il disegno di legge Calabrò sulle dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT) torna in parlamento: dopo l’approvazione al Senato, la settimana prossima inizierà l’iter alla Camera dei Deputati, con la discussione in Commissione Affari sociali.

Una legge – ricordiamo – che dà la possibilità di dichiarare “il proprio orientamento in merito ai trattamenti sanitari e di fine vita in previsione di un’eventuale futura perdita della propria capacità di intendere e di volere”.



Uno dei punti più discussi è senza dubbio quello della alimentazione e dell’idratazione: secondo il testo Calabrò, idratazione e nutrizione artificiali non sono da considerarsi trattamenti sanitari, ma “forme di sostegno vitale”, e quindi “non possono formare oggetto di DAT”: in altre parole, se il testo Calabrò verrà confermato alla Camera, non sarà possibile chiedere la sospensione di idratazione ed alimentazione artificiale nelle proprie DAT, evitando così di scivolare nel “diritto a morire”. Resta – ovviamente – sempre consentito rifiutare alimentazione ed idratazione artificiale, quando si è capaci di intendere e di volere.



Su questo argomento non c’è accordo all’interno della comunità scientifica: un recente documento della Fnomceo – la federazione degli ordini dei medici – sul fine vita è stato approvato a maggioranza, con voti contrari e astensioni di alcuni importanti ordini, fra cui quelli di Milano, Bologna e Roma, proprio per le divergenze sulla nutrizione artificiale, definita nel testo Fnomceo come una terapia, e descritta con espressioni ambigue. Nel documento, per esempio, viene detto che la nutrizione artificiale è un trattamento medico che può “modificare la storia naturale della malattia”. Ma dovrebbe essere evidente che l’alimentazione, di per sé, non incide sul decorso di una malattia, indipendentemente dalle modalità con cui è somministrata. Eluana sarebbe morta naturalmente dopo l’incidente se non fosse stata sottoposta ad interventi di rianimazione: questi sì che hanno modificato il decorso della sua malattia. E se – per assurdo – dopo l’incidente d’auto avessero continuato ad alimentarla senza però intervenire sull’emorragia cerebrale, sicuramente sarebbe morta diciassette anni fa: non sarebbe certo bastata l’alimentazione artificiale a tenerla in vita. In un malato di diabete la somministrazione di insulina non cura la malattia, ma ne modifica la storia naturale, e si potrebbe continuare ad oltranza con gli esempi. D’altra parte se si sospendono alimentazione ed idratazione si muore sempre, indipendentemente dal fatto che si sia malati o meno.



Su un punto però sembra esserci unanimità: il documento Fnomceo parla solo di nutrizione artificiale, sottintendendo che l’idratazione, invece, non sia trattamento sanitario, anche se non viene somministrata per via naturale.

Se le cose stanno così, se cioè per tutti gli ordini dei medici d’Italia l’idratazione artificiale è sostegno vitale, e non terapia medica, allora dobbiamo dedurne che il famoso “protocollo” con cui Eluana Englaro è stata fatta morire non era corretto dal punto di vista deontologico, e non è approvato da nessuno degli ordini dei medici del nostro paese.

Eluana è morta quasi cinque mesi fa, essenzialmente per disidratazione, e il pronunciamento dei medici è arrivato troppo tardi; la Fnomceo però può ancora fare qualcosa, rivendicando quella che è la sua principale ragion d’essere, e cioè garantire il massimo della convergenza sui criteri deontologici dei suoi appartenenti: proprio in forza di quella parte condivisa del documento appena approvato, può dichiarare che il trattamento riservato ad Eluana, previsto nella sentenza della Cassazione dell’ottobre 2007 e nel decreto della Corte di Appello di Milano di un anno fa, non è accettabile dal punto di vista deontologico per quanto riguarda la sospensione dell’idratazione.

A meno di non voler sconfessare anche la parte condivisa da tutti del documento Fnomceo.