Premessa: il caso di Noemi Letizia è rilevante, non è una quisquilia. Era giusto che se ne parlasse anche durante una campagna elettorale, perfino in una campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo di Strasburgo, che altro avrebbe a tema.
È importante non tanto per giudicare l’etica di un leader politico come Silvio Berlusconi. Ma per riaffermare un principio chiave di una vera democrazia: un leader politico non ha diritto a una protezione della privacy paragonabile a quella di un normalissimo cittadino. Che sia membro del governo o semplice parlamentare, esercita la funzione di legislatore. Stabilisce perciò i confini della mia libertà di cittadino, che cosa posso o non posso fare, perfino i limiti del mio comportamento nelle relazioni pubbliche o private.
È giusto quindi che non ci siano segreti sui suoi comportamenti, che un cittadino sia messo in condizione di conoscere e giudicare il rispetto in pubblico e in privato di quei limiti alla libertà che un politico ha posto a tutti gli altri, e quindi prima di tutto a se stesso. Ma è questa la ragione per cui la vita privata di un politico è importante, non altra. E quindi è tanto più rilevante conoscere il rispetto di questi limiti quanto più un politico li impone a tutti gli altri.
Siccome Berlusconi non si è distinto per leggi che limitano la libertà sessuale degli individui, nel suo caso la vicenda Noemi non sarebbe così rilevante come per altri politici. Avendo varato norme molto restrittive e punitive sull’immigrazione, sarebbe un tema politico assai più rilevante indagare sui collaboratori domestici del premier, se sono stranieri, clandestini o immigrati regolari, ecc.
Già, l’immigrazione. Questo era un tema forte da campagna elettorale per le europee. Proprio nel momento in cui il governo italiano era al centro del dibattito sui respingimenti dei clandestini, concessi con generosità e aiuto dell’Unione europea alla Spagna per molti anni e negati fra roventi polemiche all’Italia. Si può pensarla in modo molto diverso, ma certo è uno dei temi chiave dell’Europa di cui si sta per eleggere il Parlamento.
Se ne è discusso per tre giorni. Il dieci per cento del tempo occupato da tutti i politici italiani, candidati o meno alle elezioni, sul caso Noemi ogni tanto alternato al possibile divorzio fra Berlusconi e la sua seconda moglie, Miriam Bartolini, più conosciuta con il nome d’arte di Veronica Lario. Come ha censito Italia Oggi, in circa 30 giorni sono state ben 2.236 le dichiarazioni politiche sul caso Noemi. Rilasciate da tutti i principali leader: Dario Franceschini, Umberto Bossi, Pierferdinando Casini, Oliviero Diliberto, Massimo D’Alema, Antonio Di Pietro oltre al diretto interessato e bersagliato, Berlusconi. E dietro una fila interminabile di viceleader e candidati a Strasburgo.
Una manciata le occasioni invece per affrontare altri temi: l’immigrazione (ma si è parlato più di un’infelice battuta leghista sui posti da riservare ai milanesi in metro che del nocciolo della questione), le difficoltà occupazionali che riguardano tutti i paesi europei, il governo dell’economia che si è rivelato così decisivo durante la recente crisi internazionale, le alleanze industriali (si pensi al caso Fiat e al fallimento del matrimonio con Opel) o temi che fino a pochi mesi fa avevano scaldato il dibattito italiano, come quelli della bioetica.
Sono state poche le voci che si sono levate all’interno del mondo politico per fermare questo ingresso trionfale dell’Italia nell’Euro-Noemi. Quella di Massimo Cacciari, ad esempio, o quella di Paola Binetti che hanno spiegato come la politica sia altro da Noemi. Ma alla fine quello che conta è il circuito politico-mediatico, e siccome la ragazzina che ha festeggiato il suo compleanno a Casoria tira e attira la curiosità dei lettori, ci si è chiusi in quella gabbia.
Poco importa che un’elezione europea sia tutt’altro che una quisquilia. Come sanno bene quelli che si sono tenuti assai alla larga dal baby-gate come il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti o quello dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, ormai otto norme su dieci approvate dal parlamento italiano sono attuazione di regole decise dal Parlamento o dalla commissione europea. La vera politica si fa là.
Gli ultimi mesi avevano messo in crisi il fondamento di questo sistema, la cosiddetta religione di Maastricht. Era un’occasione buona, ottima, per ripensare queste regole e l’equilibrio che finora non è stato tale fra decisioni nazionali e decisioni comunitarie. Perché le regole comuni non sono figlie di una politica comune. L’Europa resta un soggetto che non è capace di decidere politicamente con una sola voce, ma che impone regole a tutti attraverso faticose mediazioni fra gli interessi nazionali con l’inevitabile prevalenza degli interessi più forti. Se le regole non sono figlie di una politica, rischiano di strozzarla.
Questo era un tema importantissimo in queste elezioni. Si guardi alle risposte davanti alla crisi economica: le divisioni europee, le troppe parole diverse, il balbettare dei vari stati rischia di fare mancare un protagonista al mondo e di consegnarlo sempre più alla gestione di un G2, quello fra Stati Uniti e Cina, che ne assicurerà il governo globale. Oggi decidendo sull’economia, assai presto anche sullo sviluppo e perfino sull’immigrazione, visto che la Cina sta estendendo la sua influenza su ampie aree dell’Africa. Rischiamo di restare muti solo ad osservare. Baloccandoci con la Noemi di turno.